NdR: pensiamo che questo post di Sergio meriti una lettura “da divano”. Per questo è eccezionalmente disponibile anche in epub, mobi, pdf e azw3.
Rovistando in soffitta ho messo le mani su un taccuino sgualcito, dai fogli ingialliti, contenente quelli che sembravano, ad una prima occhiata, appunti disordinati. Di solito si recuperano tracce di un passato, più o meno lontano. Immaginerete lo stupore, quando ho letto una data: 3 agosto 2054! Sarà vera? Uno scherzo della Follia? Chissà. Il testo non riporta alcun nome.
Del Principio d’Indeterminazione della Cartografia
Nel corso della prima decade del XXI secolo si è fatto strada un processo per la realizzazione di cartografie del tutto ignoto in precedenza. Questo trattatello, ripercorrendo la storia recente della scienza cartografica, vuole essere un ricordo del progresso generato da questa scoperta e un tributo alla tenacia di quanti hanno contribuito alla sua affermazione.
Com’è noto, il processo classico, stabilito per la riproduzione ridotta di una porzione di superficie terrestre, consta essenzialmente di tre fasi: l’esecuzione di un rilievo sistematico dell’area considerata, il collaudo della riproduzione ottenuta[1] e, infine, la pubblicazione dello strumento cartografico e la sua divulgazione a beneficio dei suoi utilizzatori. Questo processo, perfezionato e codificato nel tempo, ha raggiunto un livello di accuratezza della riproduzione del mondo reale rasente la perfezione[2] nella seconda metà del novecento, quando è stato introdotto l’uso delle tecnologie e dei media digitali.
Il caso dello sviluppo della scienza cartografica ha molti aspetti interessanti: la pratica ha, infatti, precorso la teoria, cioè prima è stato ideato il processo per riprodurre su mappa parti di territorio, quindi è stato sistematizzato il suo fondamento teorico[3], attraverso la formulazione dei principi di base di questa strana scienza.
I principi della cartografia, tre più un principio cui è ormai invalso riferirlo come principio “zero” della cartografia, sono stati introdotti all’inizio di questo secolo per regolare la produzione delle carte, il loro utilizzo e i loro limiti. Sono assiomi legittimati dall’esperienza, sui quali si fonda tutta la teoria che riguarda la produzione di mappe. Qui di seguito vengono riportati gli enunciati più comunemente adottati nei manuali.
Il cosiddetto principio “zero” postula che se due mappe hanno la stessa scala di una terza, allora esse medesime condividono la stessa scala. Questo, seppur ovvio, principio consente di definire la scala come grandezza in grado di indicare se due mappe descrivono lo stesso territorio: nella sostanza, stabilisce che per un territorio dato, due mappe confrontabili tra loro, hanno la stessa scala.
Il primo principio della cartografia, rappresenta la formulazione della legge di conservazione dei dati geografici: esso afferma che nell’ambito di un processo di riproduzione di un territorio isolato (cioè perimetrato) i geo-dati non sono né creati né distrutti, ma trasformati.
Del secondo principio della cartografia esistono molti enunciati. Quelli epistemologicamente più rilevanti sono i seguenti.
- E’ impossibile realizzare una trasformazione di scala il cui unico risultato sia quello di trasferire informazione geografica da una mappa a scala più piccola (di minor dettaglio) a una a scala più grande (di maggior dettaglio) senza l’apporto di informazioni aggiuntive o esterne.
- E’ impossibile realizzare una trasformazione di scala ciclica della rappresentazione di un territorio dato il cui unico risultato sia la rappresentazione di tutte le informazioni geografiche possedute dal territorio stesso.
- E’ impossibile realizzare una mappa la cui rappresentazione del territorio considerato coincida con la totalità delle informazioni geografiche della realtà[4].
Infine, il terzo principio, afferma che la rappresentatività della realtà di una mappa a scala 1:1 è zero[5]. In tempi più recenti a questo principio è stata data una veste nuova, precisamente: “Non è possibile raggiungere la rappresentazione omnicomprensiva del territorio considerato tramite un numero finito di rilievi”.
Sebbene sia comune l’uso della dizione “principio”, quest’ultimo non è assunto vero a priori, ma può essere dimostrato a partire dai precedenti, in particolare dal secondo. Esula dagli scopi di questo trattatello la sua dimostrazione: basti, a questo riguardo, riflettere ad esempio sulle deduzioni ricavabili dal terzo enunciato del secondo principio. Invece, vale la pena evidenziare che il terzo principio anticipa caratteristiche della rappresentazione della realtà del territorio individuate a seguito dell’applicazione del processo scoperto agli inizi di questo secolo.
Tale nuovo processo, la cui definizione è stata resa possibile grazie a tecnologie innovative per la manipolazione dei dati geografici[6] e la loro diffusione attraverso la Rete, a vantaggio di un loro uso di massa, ha consentito di addentrarsi nella cosiddetta cartografia infinitamente dettagliata. Esso prevede una diversa sequenza delle tre fasi del processo classico, precisamente: rilievo pseudo-disordinato dell’area, anche attingendo da mappe prodotte mediante il processo classico (quando disponibili), immediata pubblicazione dei risultati e collaudo della riproduzione in continuo divenire.
La comparsa sulla scena della scienza cartografica di questo secondo processo per ottenere mappe ha acceso un confronto, talvolta anche aspro, tra i suoi sostenitori e coloro che hanno ritenuto di avere identificato in esso falle concettuali che –a loro giudizio- impediscono la corretta riproduzione della realtà del territorio, inficiando l’utilizzo delle mappe così ricavate.
La prima critica avanzata esamina la validità teorica di questo nuovo processo per due aspetti fondamentali. Il primo concerne la disomogeneità spaziale della precisione della rappresentazione, quindi della corrispondente affidabilità, del rilievo all’interno della mappa, che renderebbe inapplicabile il principio della conservazione dei geo-dati. Il secondo aspetto riguarda una certa confusione riscontrata nell’utilizzo di dati derivanti da mappe di scale differenti per comporne una risultante, approccio che è parso andare in conflitto con quanto stabilito dal secondo principio della cartografia.
Una critica ancor più radicale considera l’efficacia del trasferimento di contenuti informativi di carte già collaudate o autenticate, in mappe create tramite il nuovo processo. Si è sostenuto che tale operazione, anche quando rispettasse i principi fondamentali, è priva di significato, poiché rende disponibile una mappa già esistente[7], degradata in termini di affidabilità, perché sfornita di certificazione di avvenuto collaudo.
Quest’ultima valutazione è stata raccolta per difendere la validità del nuovo processo, ribaltandone le conclusioni. Infatti, secondo i sostenitori di questo secondo percorso, la sua scoperta si deve ai troppi vincoli che hanno limitato un’ampia fruizione degli strumenti cartografici prodotti tramite il primo processo. La mancanza di disponibilità di rappresentazioni del territorio ha quindi ispirato conoscenze del tutto nuove sulla scienza cartografica.
In primo luogo, la definizione e la sperimentazione di questo secondo processo, ha messo in risalto il ruolo di chi esegue i rilevamenti (da una mappa preesistente o dalla realtà). Nell’ambito del processo classico tale figura, circoscritta a un numero limitato di specialisti, ha un ruolo assoluto: si assume che questi, operando, riproducano sulla mappa la realtà, senza interferire con essa, cioè siano osservatori esterni all’universo cartografico. Di contro, lo sviluppo delle tecnologie digitali e la diffusione di massa del loro impiego hanno trasformato il contesto: hanno aumentato di diversi ordini di grandezza il numero di soggetti in grado di eseguire rilevamenti creando una nuova figura: il cittadino-cartografo. Lo studio di questo nuovo fenomeno ha evidenziato che in realtà chi esegue un rilevamento del territorio perturba la rilevazione, falsando la conoscenza della realtà. E’ stato altresì ricavato sperimentalmente che, dato il numero notevole dei soggetti coinvolti, le perturbazioni statisticamente si compensano a vicenda e l’affidabilità media ottenibile risulta dello stesso ordine di grandezza di quella conseguita attraverso l’applicazione del secondo processo, facendo così risaltare una complementarietà tra i due processi.
Del pari, approfondendo le caratteristiche di tale complementarietà sono state scoperte altre proprietà della cartografia. La modalità realizzativa adottata con il nuovo processo –così detta “per quanti di rilievo”- ha fatto emergere l’esistenza di limiti cartograficamente irremovibili[8] allorquando ci si spinge verso scale di rappresentazione sempre più grandi, come già il terzo principio della cartografia aveva fatto intuire. Un’altra proprietà individuata, legata alla precedente, riguarda il limite –anch’esso irriducibile- nella determinazione contemporanea di grandezze legate all’evoluzione del contenuto informativo della mappa nel tempo[9], quali la variazione dell’affidabilità della mappa e il tempo di esecuzione del rilievo.
Tale fenomeno, non rilevabile applicando il primo processo, è emerso con tutte le sue implicazioni scoprendo il secondo processo. Infatti, in questo contesto l’esecuzione di un quanto di rilievo e la sua fruibilità sono eventi che possono essere considerati coincidenti, ma la cui affidabilità è assicurata dai successivi controlli effettuati dalla comunità dei cittadini-cartografi, eventi di cui non può essere noto a priori il momento della sua attuazione. E’ stato però appurato sperimentalmente che, in virtù del numero elevato dei soggetti coinvolti, il tempo necessario per garantire l’affidabilità della mappa è ordini di grandezza inferiori a quelli relativi al processo classico, come verrà illustrato tra breve. Il risultato a cui si è pervenuti per comprendere e giustificare questa proprietà è la formulazione del così detto principio di indeterminazione della cartografia, il quale stabilisce che non è pensabile conoscere simultaneamente –senza indeterminazione nei valori- il tempo di aggiornamento di una mappa e la corrispondente variazione della sua affidabilità.
Occorre invece ricordare che nell’ambito del processo classico, la valutazione simultanea dell’affidabilità e dei tempi di aggiornamento è gestita tramite un espediente: si assume per convenzione che la realtà sia quella descritta dalla mappa, indipendentemente dal fattore tempo. Una mappa realizzata tramite il processo classico “ferma” la realtà nell’attimo in cui viene eseguito il rilievo, operazione che può avvenire anche in tempi assai contenuti (si pensi a quelli richiesti per una ripresa aerofotogrammetrica). Si può così stabilire una data precisa alla quale fare corrispondere la realtà descritta dalla mappa. Le operazioni di riproduzione sulla mappa del rilievo e successivo collaudo impegnano un tempo assai più lungo, che può essere dell’ordine di parecchi mesi, in alcuni casi superare anche l’anno. In generale, maggiore sarà l’affidabilità che si vorrà ottenere, più numerosi saranno i controlli e le verifiche richieste. Comunque, quando la mappa viene rilasciata e pubblicata, la realtà si sarà già modificata: l’escamotage adottato risolve inconfutabilmente la valutazione contemporanea delle due grandezze considerate.
Il principio d’indeterminazione della cartografia ha un’altra importante implicazione: esso permette di intervenire anche all’interno del ciclo di vita di una mappa classica e affrontare con successo la riduzione della sua inaffidabilità[10], senza dovere attendere l’attività di aggiornamento sistematico, in genere attuata quando ormai essa non è più altro che una raffigurazione del passato.
In definitiva, questo nuovo modo di procedere alla realizzazione della rappresentazione del territorio ha contribuito alla maggiore fruizione dei rilievi creati attraverso il processo classico, promuovendone una più ampia disponibilità, per cui ormai i due processi sono stati integrati e agiscono in modo complementare, consentendo un risultato de facto migliorativo della rappresentazione del territorio e dei suoi continui mutamenti.
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PS. Amici ai quali ho sottoposto questi appunti, forse trovandoli di un qualche interesse e utilità, mi hanno suggerito di tradurli in altre lingue, perché possano raggiungere una platea di lettori più vasta, non solo italiana. Questo invito mi ha lusingato e ci ho riflettuto assai. Ho deciso, alla fine, di soprassedere: mi risulta che fuori dai confini nazionali la comparsa dei cittadini-cartografi abbia avuto tutt’altra storia. 3 agosto 2054.
[1] Generalmente eseguito da un soggetto diverso da chi esegue il rilievo.
[2] Per quanto questo vocabolo possa essere applicato in seno alla cartografia.
[3] Sono riportate alcune definizioni basilari. Universo cartografico: è costituito dalla realtà del territorio e dalla sua riproduzione rimpicciolita (l’oggetto di studio). Realtà del territorio: è identificabile con tutti i dati che si riferiscono agli oggetti -naturali e di origine antropica- ivi presenti (cosiddetti geo-dati) e con tutte le sorgenti di dati riferibili allo spazio geografico, rappresentabili sulla mappa. Mappa: una qualunque porzione dell’universo cartografico a cui ci si sta interessando come oggetto della riproduzione.
[4] Intuitivamente, si può assumere che il risultato ottenuto sarebbe illeggibile (effetto tabula nigra).
[5] E’ interessante ricordare che questo enunciato del terzo principio è stato oggetto di interessi letterari e di studi filosofici: si veda ad esempio J.L. Borges “La mappa dell’impero in scala 1:1” e la dissertazione “Dell’impossibilità di costruire la carta dell’impero 1 a 1” di U. Eco.
[6] Peraltro utilizzate anche nell’ambito del processo classico.
[7] Indicata, in alcuni scritti, forse con eccessiva enfasi, con “tautomappa”.
[8] “Irremovibili”, poiché tali limiti non sono riducibili, nemmeno immaginando di avere a disposizione strumenti e sensi perfetti, ossia a prescindere da qualsiasi errore sperimentale comunque piccolo.
[9] Perciò dette anche grandezze coniugate.
[10] Per brevità, si tralascia di descrivere l’effetto, non di rado associato, di arricchimento informativo della mappa.