5 marzo, 2014 | di in » Entropia

“Nella new economy […] il <<lavoro programmabile>> è una dote fondamentale, allo stesso tempo personale e organizzativa. Proprio in questa nuova concezione delle risorse umane alcuni ravvisano la vera ragione della recente affermazione delle donne. La tradizione patriarcale ha fatto sì che gli interessi maschili si focalizzassero sulle attività più materiali. Le donne sono state portate, dunque, dall’evoluzione a potenziare altre qualità, come la capacità di stabilire rapporti interpersonali e quella di prevedere il futuro, riuscendo a fronteggiare situazioni incerte e a risolvere ogni problema.” (M. Castells, La Città delle Reti, Marsilio 2004, p. 41)

 

geo gender

Hashtag: #gendergeo

 Ogni tempo propone all’umanità la possibilità di migliorarsi, sia come collettività, sia come individui. L’Età dei Lumi ci ha lasciato così in eredità i principi morali per rigettare le pratiche sociali dello schiavismo e della pena di morte, prima di allora considerate lecite, nell’interesse del bene comune (sic!).

Lo sviluppo della Società dell’Informazione si accompagna a progressi dell’etica, occupandosi dei fini sociali da raggiungere, che sono ancora e sempre il perfezionamento dell’individuo e il bene comune. Così, si riaffrontano oggi problematiche antiche perché ritornate urgenti in conseguenza della globalizzazione (vedi nuove forme di schiavitù) o perché maturano nuove consapevolezze, come il riconoscimento delle pari opportunità tra i sessi, assunto come paradigma, cui fare riferimento per ogni azione che riguardi tutti gli ambiti politici, economici e sociali.

Il principio, universalmente espresso come Gender Mainstreaming, è rivoluzionario. Esso aspira a rendere generale il principio di non discriminazione, perciò garantito non solo da leggi mirate ma dalla sua assimilazione sistematica in tutte le politiche pubbliche. La strategia per il suo adempimento presuppone quindi attività sia preventive rispetto al verificarsi di situazioni potenzialmente discriminatorie, sia di tipo proattivo, nel senso che la sua realizzazione richiede un atteggiamento positivo della pubblica amministrazione e della società tutta. Pertanto, come corollario, il Mainstreaming, implica un approccio che integri progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione di politiche e programmi, in tutti gli ambiti della vita sociale.

Una società in cui donne e uomini condividono la conoscenza e la consapevolezza di questo paradigma è sicuramente orientata e facilitata al miglioramento di sé stessa, impedisce che le diseguaglianze si perpetuino e valorizza –attraverso un approccio pluralistico- la diversità di genere.

In tale quadro, la new economy, richiedendo anche nuove competenze e nuove attitudini, più diffuse nel mondo femminile, come osserva il sociologo spagnolo, contribuisce a colmare le diseguaglianze che la società ancora riserva alle donne.

Recentemente, ha richiamato la mia attenzione questo titolo: “Does SDI need a gender dimension?“, uno speech presentato nella sessione “Education and Capacity Building” della XIII Conferenza Global SDI, Quebec 2012. Incuriosito, ho aperto l’abstract qui, quindi le slide, ancora qui.

La documentazione disponibile riferisce di un’indagine su aspetti di genere riguardanti il settore delle Spatial Data Infrastucture, SDI, (in Italia chiamate: Infrastrutture di Dati Territoriali; sono l’evoluzione “digitale” degli organismi cartografici),  vale a dire la partecipazione delle donne all’interno di questa comunità internazionale e il contributo che le SDI forniscono alla comprensione dei problemi che investono le donne di tutto il mondo.

Gli autori sono due ricercatrici Colombiane, Nancy Aguirre e Lilia Patricia Arrias, insieme a Santiago Borrero, Segretario Generale dell’Istituto Panamericano di Geografia e Storia, IPGH. Nancy è una geografa e, tra l’altro, attualmente è l’editor della versione dedicata all’area regionale America Latina e Area Caraibica della Newsletter dell’Associazione Global SDI. Lilia, all’epoca di questo lavoro, ricopriva la carica di vice-presidente dell’International Geospatial Society, IGS. 

Lo studio ha considerato l’intero contesto mondiale (in realtà, non sono menzionati Paesi del Continente asiatico), provvedendo alla raccolta d’informazioni sul tema attraverso interviste con domande aperte ed eseguendo un sondaggio sulle tematiche di genere delle SDI, rivolto sia a organizzazioni leader del settore, sia singoli addetti, di entrambi i sessi.

Anche se i risultati ottenuti tramite l’esame dei dati raccolti, come gli stessi autori hanno tenuto a precisare, siano da considerare frutto di un’indagine preliminare, la cui metodologia meriti di essere affinata, il lavoro pone in evidenza almeno due aspetti interessanti.

Prima di tutto, anche il settore della Geo-ICT non è estraneo alla contraddizione che la rivoluzione digitale sta mettendo in risalto, quella tra il bisogno di competenze soft, cioè non tecniche (hard) di cui il genere femminile è portatore e il rischio che la stessa rivoluzione amplifichi l’ineguaglianza di genere, senza distinzioni tra classi sociali e di reddito. Eppure, le informazioni raccolte dagli autori confermano che una presenza bilanciata dei due sessi all’interno della comunità delle SDI, nell’ambito della produzione dei dati e dei processi decisionali rilevanti rispetto alle esigenze delle utilizzatrici delle SDI stesse, può essere fondamentale per promuovere l’uguaglianza di genere, l’emancipazione delle donne e –in definitiva- la costruzione di una Società dell’Informazione veramente per tutti.

Il secondo aspetto trae spunto dalla considerazione che le SDI hanno come fine ultimo quello di contrastare le conseguenze -sia a livello globale, sia locale- dei maggiori problemi della nostra epoca, come il cambiamento climatico, la crescita della popolazione, la globalizzazione economica e i problemi associati all’inquinamento dell’ambiente, il depauperamento delle risorse naturali. Ciò nonostante, è assai poco frequente annoverare tra gli obiettivi alla base dello sviluppo delle SDI temi riguardanti esplicitamente problematiche che investono le donne. Eppure, osservano gli autori, la soluzione del divario di genere è fortemente connesso –ad esempio- al tema dello sviluppo dell’agricoltura o della sicurezza alimentare; e la maggior parte, se non tutti, gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio dell’ONU sono esplicitamente “gender-oriented”. Lo studio effettuato conferma che le SDI potrebbero supportare l’integrazione, nelle diverse politiche, delle problematiche riguardanti le pari opportunità.

E in Italia? Anche la comunità delle SDI italiane necessita di una “dimensione di genere”?

L’attenzione verso queste tematiche, secondo il concetto di Gender Mainstreaming, non è del tutto assente all’interno della comunità delle SDI italiana: si veda questo esempio. Un altro indizio è fornito proprio dal lavoro testé descritto: scorrendo le slide si evince che almeno una (uno, o più?) rappresentante della comunità italiana ha collaborato con gli autori alla raccolta dei dati, compilando il questionario oppure rispondendo all’intervista.

Esplorare le questioni di genere nel contesto della comunità geomatica nazionale, prendendo ispirazione -ad esempio- dal lavoro eseguito dalle ricercatrici colombiane, potrebbe essere utile per dare nuovi impulsi al processo di sviluppo delle SDI nel nostro Paese.

Non mancano ragioni per provarci.

Rispetto al contesto generale dell’ICT, per il settore Geo-ICT si riscontra un più accentuato gap tra potenzialità d’innovazione e capacity building -degli addetti ai lavori e degli stakeholder- necessaria per sfruttarne le opportunità. La caratterizzazione della comunità SDI nazionale rispetto al genere potrebbe evidenziare aspetti utili per comprendere questa discrepanza e indicare circostanze favorevoli per attenuare tale carenza e, nello stesso tempo, contribuire a contenere fenomeni di digital divide di genere.

L’iniziativa, contribuendo ad accrescere la consapevolezza sulle problematiche di genere specifiche nell’ambito della comunità delle SDI italiane, può anche offrire occasioni per diffondere le tematiche riguardanti la crescita di una società spatially enabled, cioè in grado di usare i dati geografici come “bene comune” per stimolare l’innovazione. A questo riguardo, un ruolo fondamentale può svolgerlo la Rete Women for Intelligent and Smart TERritories, WISTER, costituitasi all’interno degli Stati Generali dell’Innovazione, per “promuovere politiche dell’innovazione sensibili alle differenze, a partire da quelle di genere”. Contribuire all’alfabetizzazione sui geo-dati digitali, formare cittadini (di entrambi i generi) “spatially literate”, è la condizione necessaria per promuovere le SDI anche in Italia come strumento di supporto per la diffusione del Gender Mainstreaming.

A questo riguardo la redazione di TANTO, Stati Generali dell’Innovazione e la rete WISTER (ma chiunque vorrà contribuire sarà benvenuto) si augurano con questo post di stimolare una discussione sul tema affrontato, aperta alla comunità degli innovatori, donne e uomini, ovviamente.

Ecco qualche spunto, per avviare il dialogo:

  • Ritieni che nell’ambito del settore della Geo-ICT esistano problematiche riguardanti aspetti di genere?
  • Pensi che un’indagine sugli aspetti di genere possa essere utile per il settore delle SDI e -in generale- possa contribuire nella promozione dell’innovazione nel nostro Paese?
  • Ci sono problematiche che vorresti già segnalare perché siano considerate in un’eventuale indagine?
  • Qualora l’iniziativa riscontrasse il favore dei lettori, vorresti avere voce in capitolo nella stesura del questionario?

Siete invitati tutti a spargere la voce: segnalate questa proposta, suggerendo –se lo ritenete- di lasciare un commento, una testimonianza, qui di seguito o anche usando l’hashtag #gendergeo.

Ringraziamo in anticipo tutti coloro che ci aiuteranno a diffondere questo post.

 

Attenzione! Questo è un articolo di almeno un anno fa!
I contenuti potrebbero non essere più adeguati ai tempi!

10 Responses to “Se non ora…”

  1. By Annalisa on mar 5, 2014

    Innanzitutto grazie per l’articolo, l’ho trovato molto interessante.. sicuramente offre diversi spunti di riflessione. Per quanto riguarda la mia opinione, io penso che si, esistono differenze di genere abbastanza accentuate in Italia come nel resto del mondo nelle Geo-ICT, come nelle IT in generale (anche se nelle ultime forse sono un po’ meno marcate) e mi trovo abbastanza d’accordo con l’analisi effettuata dalle relatrici riguardanti l’attuale situazione. Credo inoltre che effettuare un’indagine per capire bene “quanto” siamo messi male (o bene, non si sa mai!) sarebbe piu’ che opportuna, dato che questo ambito mi risulta fin’ora abbastanza inesplorato. Unica cosa che mi viene in mente é che le survey sono utili se poi si fanno seguire ad esse delle azioni concrete. Troppe volte infatti abbiamo visto ottime idee naufragare sotto il giogo dell’inerzia della politica o della sopita coscienza sociale.. le survey non servono a nulla se non si prendono poi in mano e non si decide materialmente cosa fare, qualora emerga un problema. Sotto questo punto di vista potrebbe essere utile, come suggeriscono ad un certo punto della presentazione le relatrici, una (o piu’?) serie di meeting, workshop e altri eventi forma/infromativi sul tema, in modo tale da formare la coscienza sociale dei cittadini, partendo cioé dal basso.. in questo contesto, sarei ben contenta di poter contribuire nel mio piccolo alle varie iniziative che si potrebbero mettere in pratica.

  2. By Madi on mar 5, 2014

    Grazie per l’articolo, mi fa molto piacere che se ne parli. Il fatto che il mondo Geo-ICT o semplicemente ICT sia condizionato dal genere e` evidente, i numeri parlano chiaro. Riconoscere che questo sia un problema che influenza la qualita` della vita di tutti e` il passo importante che manca affinche` si intraprendano azioni efficaci. Il problema ha innumerevoli aspetti che meritano sicuramente molto spazio e analisi approfondite, dati alla mano. La mia sensazione, maturata per esperienza diretta o di persone che conosco, rivela che in Italia c’e` una cultura molto radicata che tende a separare molto i ruoli in base al genere. Fin da piccoli, siamo abituati a separare giocattoli, libri, attivita` per maschietti e femminucce. Si mortifica una parte della curiosita` infantile che e` il naturale vettore per la conoscenza. Ma questo retaggio culturale viene esasperato nell’eta` adulta, quando si tende ad assegnare ruoli di responsabilita` agli uomini piuttosto che alle donne negli ambiti di lavoro storicamente riconosciuti “maschili”. Per cui, se nessuno vieta oggi ad una donna di diventare ingegnere o amministratore di sistema, e` anche vero che si fa fatica ad assegnare ad una donna le stesse mansioni e responsabilita` che verrebbero assegnate ad un uomo. Un altro aspetto essenziale nel nostro paese e` la carenza di politiche a sostegno della famiglia. Le donne scelgono alcuni lavori (insegnanti, dipendenti statali) piuttosto che altri magari meglio remunerati, solo perche` questi ultimi non consentono di beneficiare delle normali condizioni derivanti dalla gravidanza e le cure parentali. In Italia la gravidanza e` considerata quasi una malattia, mentre i paesi del nord Europa sono molto piu` evoluti da questo punto di vista e probabilmente sarebbe molto interessante avere i dati degli studi e delle carriere intraprese e confrontarli. Se avete voglia di approfondire il discorso mi farebbe molto piacere far parte del gruppo di lavoro. Grazie e saluti.

  3. By Claudia on mar 6, 2014

    Grazie Sergio, è un ottimo spunto di riflessione.

    Ritengo che il punto cruciale non sia nelle differenti competenze tra donne (che più che soft definirei spread) e uomini (hard/tecniche): i risultati della formazione nei paesi più evoluti evidenziano infatti come ad oggi, a differenza degli anni ’80, ci siano più donne che uomini con lauree anche in discipline scientifiche.
    Bensì che la reale differenza di genere sia da considerare nella diversa tipologia del pensiero maschile e femminile: la donna nei secoli è sempre stata multidisciplinare per necessità e l’uomo si è verticalizzato (non a caso ingegneria è l’unica facoltà scientifica in cui anche ad oggi ci sono più laureati uomini che donne in Italia) sin dalla preistoria per procacciare cibo e combattere per la tutela del gruppo/famiglia e del territorio.
    E questo ha condotto a strutturare un differente approccio ai problemi.
    Il trucco dovrebbe essere quello di integrare e di rendere sinergica la collaborazione in ambito lavorativo fra uomini e donne anziché tutelare queste ultime con piani di integrazione di genere a livello professionale che, anziché tutelarle, le discriminano ponendole in una posizione di vantaggio per risarcirle di uno svantaggio culturale: ottenere per questa via un riconoscimento professionale, pone le donne necessariamente in conflitto e competizione svantaggiata con i colleghi uomini.

    Non ho mai pensato né agito sotto tutela di genere nella mia vita di studio e professione. Mi sono sempre ritrovata in ambiti in cui la percentuale di uomini era maggiore e mi sono confrontata con loro ad armi pari senza mai sentirmi discriminata dall’essere donna o pensare di avere diritto a una tutela differente oltre a quella che nasce dallo studio, dall’impegno, dalla determinazione, dalla meritocrazia insomma.

    So bene che purtroppo non è sempre così e che le donne, anche le più istruite, sono penalizzate nel mercato del lavoro. E non solo: le laureate con figli lavorano e guadagnano meno rispetto alle colleghe senza figli. Infatti spesso le donne scelgono professioni e ruoli subalterni per conciliare il lavoro con la famiglia, con la crescita dei figli.

    In questi giorni si è enfatizzato come il nuovo Governo abbia 8 ministri donna su un totale di 16: un’equa ripartizione di genere politically correct, un’attuazione esatta del principio di pari opportunità che nello stesso momento in cui è evidenziata diventa discriminante del genere femminile riconoscendo implicitamente alle donne una condizione di inferiorità e quindi la necessità di protezione, di tutela.

    Ma anzichè tutelare le donne come protettorato sul lavoro, sarebbe più opportuno tutelarle a livello politico con leggi che permettano di conciliare lavoro e maternità e pongano le basi per un mercato del lavoro più stabile, che faccia meno leva sul precariato e che premi le eccellenze e non le clientele.

    E il problema delle donne non riguarda solo le donne. Mi piacerebbe allora che nella discussione che proponi anche voi uomini della comunità delle SDI italiane raccontaste cosa fate per l’integrazione di genere nel quotidiano: gestione organizzativa e operativa di famiglia, figli, lavori domestici e quant’altro esula dall’ambito lavorativo.
    E’ un paradosso certo, ma credo che il riconoscimento di una sana dimensione di integrazione di genere dovrebbe nascere da un riconoscimento culturale e politico. E l’integrazione in ambito professionale dovrebbe poi essere implicita.

    Seriamente invece, proporrei di partire da questo risultato dell’indagine che descrivi:
    “la principale area di applicazione delle SDI è il Mapping (la Cartografia), seguita dal catastale. Nel gruppo femminile sono considerati anche l’uso del suolo, l’ambiente, la parità di genere, la povertà, il turismo, le calamità naturali, la sicurezza alimentare, l’acqua, il territorio, la salute, l’istruzione, la politica, le infrastrutture, l’urbanistica e la biodiversità. Nel gruppo maschile non sono compresi l’uso del suolo, la parità di genere, la povertà, la sicurezza alimentare, l’acqua, la salute e la biodiversità”.
    E’ estremamente interessante notare come qui venga evidenziata la differenza fra i generi nel pensare e approcciare i problemi.
    Partiamo da qui allora, cerchiamo un’integrazione, una sinergia. E’ più difficile che definire club di donne in ambiti professionali che, a mio parere, rimangono autoreferenziali e non vanno verso l’integrazione di genere che uno spread pensiero femminile dovrebbe invece ricercare, coinvolgendo l’hard pensiero maschile in approfondimenti, per dare alle donne finalmente pari ruoli e opportunità.

  4. By Claudia on mar 8, 2014

    È comunque un tema di difficile approccio e soluzione in tutti i campi.
    A proposito, da La Repubblica dell’8 marzo 2014 «L’AMACA» di Michele Serra

    Le quote rosa sono una cosa sbagliata; ma necessaria.

    Tutto il “politicamente corretto” è una cosa sbagliata; ma necessaria. Non esiste principio o virtù che possa essere inverato da una norma o da un regolamento, e la sgradevole goffaggine del “politicamente corretto” sta tutta in questa presunzione di formalizzare ciò che è giusto attraverso una specie di petulante, invadente galateo dei diritti. Ma esistono ingiustizie radicate e vizi incancreniti che una norma e un regolamento possono arginare e se necessario punire: per questo, del resto, esistono le leggi. Per arginare e punire i comportamenti lesivi dei diritti altrui.

    L’abusata abitudine maschile a considerare “naturale” il proprio potere, e anomalo e imprevisto il potere delle donne, è uno di questi vizi. Incorreggibile, evidentemente, per vie culturali o politiche, specie in un paese latino. Le quote rosa sono dunque un arbitrio migliore dell’arbitrio (pessimo) che intendono intaccare. Se uno ha le mani strette alle tempie per tapparsi le orecchie, è bene che — con la dovuta delicatezza — qualcuno gliele discosti, così almeno è costretto a sentire anche ciò che non gli fa comodo.

  5. By Laura on mar 11, 2014

    Vi riporto alcuni numeri significativi provenienti dalla ricerca italiana:
    Ne CNR le donne occupate in ruoli di ricerca sono il 40 % del totale (dato del 2011). Non troppo male, vero? Peccato che nei 7 dipartimenti del Consiglio Nazionale delle Ricerche i direttori siano tutti uomini (donne = 0%). E nei 35 istituti di ricerca più strettamente connessi alle SDI (ho considerato quelli afferenti ai dipartimenti Ingegneria – ICT e tecnologia per l’Energia e Trasporti e Scienze del sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente), 30 direttori sono uomini e 5 sono donne (donne = 14%). Al contrario le donne addette a funzioni amministrative in tutto il CNR sono il 76% del totale (dato del 2011).
    Nell’Università Italiana i numeri non cambiano. Se le ricercatrici donne sono il 45% del totale, le docenti ordinarie donne arrivano appena al 20% (dati del 2011).
    Nel settore privato sarebbe facile motivare un simile sbilanciamento tra i generi nelle posizioni di rilievo con una nomina che risente di un pregiudizio (“è un posto più adatto ad un uomo”), ma nella ricerca pubblica i meccanismi di selezione interni, vincolati a titoli e meriti, tutelano in buona misura la parità dei generi. O per lo meno dovrebbero. Dunque qualcosa di diverso ha inciso su questo sbilanciamento? Una sfiducia delle donne nelle loro possibilità di carriera? Un minore interesse delle donne per i ruoli di leadership? Una percezione di incompatibilità del ruolo direttoriale con le proprie responsabilità familiari e sociali? E, nel caso specifico del settore geo-tecnologico, un minore interesse per talune attività? O la poca fiducia di riuscire?
    La risposta non è scontata e sicuramente andrebbe approfondita.
    Vi invito a dare uno sguardo alle statistiche pubblicate, con molta efficacia grafica, a questo indirizzo: http://home.epws.org/filter/data/A-note-on-girls-in-science-US-data. Sono dati vecchi (2005) ma quasi imbarazzanti. Sembrerebbe che molte donne, una volta insinuato il dubbio di una presunta inferiorità femminile in un certo compito, perdano fiducia ed anche efficacia nell’affrontarlo.
    Se l’ipotesi di una auto-castrazione del genere femminile rispetto a mansioni ed incarichi specifici fosse verificata, allora a poco servirebbero le politiche di quote rosa, che cercano di equilibrare artificiosamente il divario di genere.
    Mosse efficaci andrebbero cercate in azioni culturali a medio e lungo termine, e in tutele alla famiglia, che consentano a uomini e donne di conciliare con il lavoro gli impegni assistenziali verso figli o parenti anziani (nidi azienzali, flessibilità negli orari, estensione delle tutele ai lavoratori precari, servizi per i minori al seguito di lavoratori in missione fuori sede,…) e di distribuirli in maniera più elastica tra i generi (congedo parentale per padri e madri,…).
    In definitiva, non è detto che l’equazione:
    50% uomini + 50% donne = 100% felici
    sia corretta, per l’ambiente “geo” come per il resto del mondo. Non sono le presenze di donne e uomini a dover essere livellate. Sono le possibilità di donne e uomini a dover essere bilanciate!

    Dopo queste riflessioni meste, una storia lieta:
    L. lavora da alcuni anni in un gruppo SDI di un istituto pubblico di ricerca. Al momento della sua assunzione era in attesa del suo primo figlio. La commissione di esperti che la ha esaminata non lo ha ritenuto un demerito. Era composta – casualmente – da donne. La sua responsabile scientifica era una donna. La coordinatrice della tematica di ricerca era anch’essa donna. L’impegno del gruppo ha dato i suoi frutti e ha consentito alla squadra di espandersi assumendo numerose nuove unità e diverse specializzazioni. Per lo più uomini fortunatamente, o le avrebbero accusate di disparità di genere! :)

    L.

  6. By Stefano Costa on mar 11, 2014

    Ciao,
    credo che il dito sia profondamente nella piaga. E a dire il vero che siano solo 4 donne (ciao Annalisa! ciao Madi!) a rispondere a questo post è quanto mai emblematico. Ad un rapido controllo empirico, negli ultimi 12 mesi non ci sono state altri commenti femminili agli articoli di TANTO (forse uno, ma basandomi sui nomi è – appunto – un conto spannometrico). È il giorno 11 marzo e ho tanto l’impressione che i commenti maschili non ci saranno.

    Quindi? Io credo che si debba riflettere moltissimo sul fatto che anche i contesti dove si affronta questo problema non ne sono immuni. Troppo spesso quando la questione di genere viene sollevata (anche dai maschi), si somma la reazione conservatrice-maschilista a quella superficialmente libertaria. Sono due lati della stessa medaglia purtroppo, diversi solo superficialmente ma in realtà legati da un pensiero unico di superiorità e sostanzialismo (le cose sono così perché sono così).

    Cari community leader, mettetevi bene in testa che non basta “fare il compitino” e rassegnarsi dicendo che se il vostro evento/comunità ha una bassissima diversità di genere è solo perché il settore tecnico/geo ne ha poca di suo. Si inizia dalla scelta delle persone che parlano in pubblico (keynote speakers, moderators) … e no, non è che vadano scelte persone solo in base al fatto che non sono maschi bianchi: si cerca la competenza. Si continua parlando di contratti nel mondo geo. Si punta il dito verso chi è così stupido o debole da essere maschilista (imprese, singoli, enti). Negli ultimi giorni abbiamo assistito ad uno (dei tanti) spettacoli indecorosi in Parlamento: se aspettiamo che dall’alto arrivi un cambiamento a migliorare la parità di genere, siamo fregati. Cambiamoci da soli.

    steko

  7. By monica on mar 17, 2014

    Premesso che non ho intenzione di fare considerazioni di tipo socio-politico, ritengo che la valorizzazione delle differenze non sia assolutamente in contrasto con un accesso paritario ai diritti, poiché riconoscere le differenze non significa discriminare.
    Ma vengo al post di Sergio, che come egli stesso afferma ha come obiettivo stimolare un dibattito sulla “dimensione di genere” nella comunità delle SDI Italiane. E ci chiede se nell’ambito della Geo-ICT esistono problematiche riguardanti aspetti di genere. Esistevano ed esistono, accentuate anche dalla crisi di questi anni. Aspetti quantitativi: i numeri sono stati già riportati da Laura (quando siedo ad un tavolo di lavoro, non è raro scoprire di essere l’unica donna). Aspetti qualitativi: ruoli, responsabilità, funzioni, ecc.. E’ innegabile tuttavia che esistano competenze e aspetti differenti perché differenti sono i modi in cui si analizzano e si affrontano i problemi, e quindi diverse sono le capacità che si acquisiscono. Ma è importante assumere la consapevolezza che i risultati “gender-neutral” non accadono per caso. E’ importante far crescere la consapevolezza che alcuni errori nei processi produttivi sono generati da posizioni forzatamente (e fintamente) imparziali. Riconoscerli ed eliminarli può significare immediate opportunità di business.
    Un’indagine sugli aspetti di genere può essere utile per il settore delle SDI e -in generale- può contribuire alla promozione dell’innovazione nel nostro Paese? Senza dubbio. Vedo in particolare due aspetti molto correlati. Il primo: la dimensione di genere come parametro contributivo. Nelle SDI, oltre a dimensioni metodologiche e tecnologiche (trasversali a tutto il dominio), c’è anche una dimensione di genere, così come c’è una emerging country-dimension, una dimensione sociale, una dimensione culturale. Tutti parametri di una infrastruttura in cui possono e devono convergere e cooperare visioni molto verticali, utili tuttavia a raggiungere un obiettivo di integrazione e di inclusione per la valorizzazione del patrimonio comune. E poi vedo invece un aspetto complementare al primo: la dimensione di genere può beneficiare dei prodotti SDI, poiché tramite gli strumenti pervasivi SDI-based è possibile evidenziare, più di quanto abbiano fatto nel passato le “carte”, problematiche di genere proiettate sul territorio. Le SDI cioè possono contribuire a portare alla luce questioni di genere, nella misura in cui sono uno strumento condiviso e diffuso e alla cui progettazione possono contribuire in maniera partecipata tutti, con la propria sensibilità, competenza , conoscenza e intelligenza.

  8. By Sergio on mar 25, 2014

    Car* tutt*,
    mi pare che senza i vostri contributi il mio post sarebbe stato giusto un compitino: gli avete dato vita. La proposta del survey è evoluta –senza escluderla- in disponibilità, voglia di fare qualcosa, subito.
    Gli spunti sono parecchi; alcune problematiche di genere non sono esclusive del mondo delle SDI. Diversi commenti hanno posto l’accento sull’importanza delle politiche a sostegno della famiglia (Madi), anche come superamento degli approcci tipo “condizione d’inferiorità, ergo quote rosa” (Claudia): quindi politiche che “consentano a uomini e donne di conciliare con il lavoro gli impegni assistenziali verso figli o parenti anziani (…) e di distribuirli in maniera più elastica tra i generi” (Laura).
    Altre riflessioni si sono soffermate sulle diversità qualitative dei percorsi professionali, per retaggi culturali: “Si fa fatica ad assegnare a una donna le stesse mansioni e responsabilità…” (Madi); ma anche per un’assunzione d’inferiorità delle donne stesse a ricoprire compiti “per maschi” (Laura). Purtroppo, tale differenziazione dei percorsi professionali non sono effetto di una valorizzazione delle differenze di genere, la cui considerazione in positivo, potrebbe invece apportare benefici ai processi produttivi e avere effetti migliorativi del business (Monica).
    Per quanto riguarda i riferimenti al nostro mondo geomatico, avete messo in risalto quanto l’adesione al gender mainstreaming può arricchire lo sviluppo delle SDI (e l’innovazione del Paese, di conseguenza): grazie alla caratteristica spread del pensiero femminile (Claudia), al replicarsi di “storia a lieto fine” (Laura), all’assunzione di consapevolezza da parte delle “geo-quote azzurre”, con i community leader in prima fila (Stefano), al contributo sinergico con le altre dimensioni delle SDI, utile “all’obiettivo d’integrazione e d’inclusione per la valorizzazione del patrimonio comune” e al contributo delle SDI stesse per “portare alla luce questioni di genere” (Monica).
    Raccogliendo il suggerimento di Annalisa, direi che possiamo già metterci al lavoro.

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