13 gennaio, 2009 | di

Tempo fa avevo buttato GeoCommons nel mucchio delle belle cose da approfondire, e come spesso mi accade presto l’avevo dimenticato. Ma ecco che Andrea e Gerlando in due loro precedenti articoli [1,2] si son messi a giocarci, e mi hanno dato l’impulso per sporcarmici le mani pure io.

GeoCommons è un formidabile mashup messo su da FortiusOne, che si pone due obiettivi principali. Il primo è quello di mettere a disposizione degli utenti – con conoscenza anche nulla o quasi di GIS e cartografia – uno strumento di costruzione di mappe semplice ed efficace. Il secondo è quello di realizzare un grande repository di dati geografici generati dagli utenti stessi e liberamente utilizzabili con licenza Creative Commons.

GC_eventi_sismici

Ma cosa permette davvero di fare GC? Certamente non si tratta di un ambiente GIS propriamente detto, con il quale sia possibile creare mappe complesse e articolate, con la possibilità di usare layer raster e uno styiling avanzato di quelli vettoriali. Lo scopo di GeoCommons è infatti quello di “realizzare analisi visuali mediante mappe; consentendo a utenti privi di conoscenze tecniche di visualizzare dataset multipli, raggiungere conclusioni, prendere decisioni e risolvere problemi senza far ricorso ai GIS”.

GC_point_styleCon Maker! – il map builder di GC – è possibile, previa registrazione, creare mappe partendo sia da dati presenti sul repository GC – messi a disposizione da altri utenti – che propri, importabili nel proprio account come shapefile, come foglio di calcolo CSV oppure KML. Buona norma sarà taggare i dati con termini che ne descrivano contenuto e zona geografica, in maniera tale da renderli facilmente rintracciabili da altri utenti. I dati caricati dovranno essere rigorosamente in WGS84, poichè GC non supporta la riproiezione al volo. Finder! è invece semplicemente il motore di ricerca del data repository di GC.

Come detto, GeoCommons non è un GIS ma fa bene il suo lavoro. La semplicità di utilizzo e dello styling dei dati vettoriali ne fanno strumento efficace per rappresentare essenzialmente dati di tipo quantitativo (statistici, grandezze fisiche, eventi), ma non certo di tipo qualitativo (litologia, uso del suolo, vegetazione). Lo styling dei dati è infatti basato su simboli o colori graduati, con in più la sola possibilità di scegliere cerchi o quadrati per i punti, 5 stili per le linee e 5 palette di colori per i poligoni. Oltre naturalmente a poter impostare la trasparenza per tutti i layer.

I dati di base – con i quali poter dare senso ai nostri – derivano tutti da Google e si può scegliere tra strade, satellite, ibridi, terrain oppure un bello sfondo monocolore.

Insomma, costruire mappe con GeoCommons è davvero semplice, e sebbene lo styling dei dati possa apparire limitato a un primo approccio, in realtà viene messo a disposizione lo stretto indispensabile per ottenere mappe di chiara ed efficace lettura.

Inutile dire quanto GC sia perfetto per avvicinare un gran numero di persone alle mappe e alla rappresentazione spaziale dei dati tipicamente descrittivi. E allora perchè non lanciare da qui un bel GeoCommons contest per chiamare alle arti cartografiche i frequentatori di TANTO?

L’esempio l’abbiamo dato Andrea e io stesso, lui con l’articolo “La Geografia Giudiziaria: la realizzazione di una mappa… per iniziare” del novembre scorso, mentre io mi sono cimentato in una semplice mappa nella quale viene mostrata l’attività sismica a livello nazionale, così come gli eventi registrati a livello mondiale dalla rete sismica italiana. I dati li ho recuperati dall’INGV, per i dettagli date un’occhiata al post nella quale l’ho pubblicata in precedenza, sul mio tumblelog loscioccoinBlu. Il webgis dell’INGV è ben fatto, ma riporta solo gli eventi degli ultimi 90 giorni. Io ho intenzione di tenere aggiornata la mia mappa su GC mensilmente, in modo tale da costruire un repository dei terremoti nel tempo, con tanto di dati pronti per essere scaricati e utilizzati in qualunque maniera e contesto da chiunque.

E allora sotto con le vostre mappe! Pubblicatele come commento a questo post, e tirate fuori il Piri Reis che è in voi al grido di “Yes We Map”!

Qui di seguito un elenco – ovviamente non esaustivo – di alcuni link dai quali è possibile scaricare dati per costruire le vostre opere. Invito chiunque a segnalarne di nuovi.

[1] Fare sorridere una tabella, o di quanto siano belli i grafici
[2] La Geografia Giudiziaria: la realizzazione di una mappa… per iniziare

28 novembre, 2008 | di

Ormai il termine crowdsourcing è di moda. Ma a noi di TANTO le mode ci fanno un baffo, e ci piace parlare delle cose interessanti. Dei concetti interessanti. Il crowdsourcing lo è.

E iBegin Places è una iniziativa di crowdsourcing estremamente interessante. Dando un’occhiata alle mappe prodotte dagli utenti in maniera collettiva, molti storceranno il naso: poligoni digitalizzati alla meglio, che si sovrappongono, topologia imprecisa… ma chi è sta gente? Chi gli ha dato la patente?

Ma qui bisogna mettere da parte ogni velleità di precisione cartografica, che è di secondaria importanza. Con iBegin Places la gente può segnalare e classificare gli spazi delle proprie città: giardini pubblici, strutture sportive, luoghi di aggregazione, zone industriali abbandonate, quartieri… qualunque area rappresentabile con un poligono (ma anche punti e polilinee), che abbia un qualche senso per un gruppo di persone.

Da queste accozzaglie di poligoni colorati – apparentemente fini a se stesse – possono nascere idee per il riuso degli spazi cittadini o coadiuvare iniziative di urbanistica partecipata. Se ne fa un gran parlare qui in Italia, ma è davvero difficile coinvolgere attivamente i cittadini nei processi di analisi e descrizione del territorio. Con iBegin Places si potrebbero mettere su laboratori collettivi in pochissimo tempo, con ridotte conoscenze tecniche e tecnologiche richieste ai partecipanti.

iBeginPlaces

Vengono usate le API di Google Maps, tutte le creazioni rimangono assolutamente libere di essere riutilizzate da chiunque. E’ possibile esportarle come JSON, JS, RSS o KML e farne ciò che si vuole.

Lunga vita al crowdsourcing, quando è libero e bello.

12 settembre, 2008 | di

Non so per quale motivo non abbia scritto finora un post su una delle cose che mi piacciono TANTO: il geocaching.

Forse perché ho pensato banalmente che tutti coloro che lavorano con GIS e cartografia digitale possiedano un dispositivo GPS, e per la regola della transizione che costoro conoscano anche il geocaching.

Nata nel 2000, all’indomani della fatidica caduta della “selective availability”, si tratta di una sorta di grande caccia al tesoro mondiale, alla quale possono partecipare i possessori di un GPS e di una gran voglia di cercare scatolette nascoste da loro simili.

Unico indizio, ovviamente, una coppia di coordinate rigorosamente espresse in WGS84. Lo scopo è dunque quello di recarsi nel luogo indicato e cercare il tesoro (cache), consistente in una scatola con dimensioni che possono andare dal contenitore per rullini a quelle di un secchio (sic!).

Cosa c’è dentro? Ci trovate sempre almeno un log book, sul quale registrare il proprio nome e la data del ritrovamento, perchè come avrete intuito, i cache non vanno mai portati via. Come optional potreste trovare oggetti collocati dal proprietario o dai “geocacher” che l’hanno trovato. Tra questi i più curiosi sono i “trackables“, oggetti tra i più vari che hanno un codice univoco e dunque tracciabili nel loro viaggio incessante da un geocache all’altro. Ogni cacher che trova un trackable ha l’onere e l’onore di ricollocarlo in un altro cache. Ce ne sono alcuni che hanno fatto il giro del mondo.

Per un geocacher, oltre all’entusiasmo di trovare e loggare il maggior numero di cache, c’è anche quello di collocarne tante, in posti curiosi, dai più affollati delle grandi città (nella sola Milano ce ne sono a decine), a quelli lontani dalle rotte migratorie turistiche.

Personalmente trovo affascinante attrarre gente in luoghi che ritengo belli da visitare, insoliti o interessanti da tanti punti di vista. Eppoi ci sono tanti tipi di cache, e per trovarli bisogna saper cercare, o risolvere dei piccoli rompicapo. Un tipo speciale è ad esempio l’Earthcache, ovvero un luogo singolare dal punto di vista geologico (c.d. geosito), al quale viene sempre associata un’attività didattica da effettuare per poter “loggare”, ovvero registrare la propria visita. Ci sono poi alcuni geocacher puristi che non usano nemmeno il GPS, ma solo carte topografiche in puro sile “orienteering”.

E’ facile intuire la grande valenza che il geocaching ha dal punto di vista ambientale. Il rispetto dei luoghi nei quali si trovano i cache è fondamentale, regola non scritta è quella di portar via eventuali rifiuti che vebgono trovati.

Il geocaching poi è uno sport fantastico da fare in compagnia ma soprattutto soli, io veramente lo adoro per questo. Anche perchè la strana abitudine che i geocacher hanno di partire alla ricerca di una scatoletta, all’improvviso, nel bel mezzo di una gitarella è difficilmente comprensibile da parte di amici che magari vi accompagnano. Cacciare di tasca il GPS, guardarsi intorno, dire: “torno subito” e stare via un tempo interminabile per poi tornare con un sorriso di soddisfazione stampato sul volto, giustificarlo col fatto che avete trovato il “cache”, e magari pure un Travel Bug, è un “FTF”, e dovete correre a “loggarlo” al piu’ presto… No, sarebbe decisamente troppo per i vostri amici.

Durante la mia recente vacanza in Abruzzo sono a malincuore passato davanti a 4 geocache perchè nessuno della compagnia voleva assecondarmi in questa passione… Ma per uno, almeno per uno, ho piantato in asso famiglia e amici ad Anversa degli Abruzzi, ho preso la macchina e ho detto loro: “Ci vediamo tra un paio d’ore!”. Mi sono inerpicato su su per raggiungere un paesino, Castrovalva, e cercare un cache vicino a una chiesetta sbattuta su un crinale… il fantastico panorama, da solo, valeva la ricerca.

Ecco perchè amo questo sport: ti porta e ti fa portare gente in luoghi unici. E’ l’ebbrezza della ricerca, del perchè quella scatoletta è stata messa proprio lì.

Insomma il mio invito, da entusiasta geocacher, è quello di provarci anche voi… Date un’occhiata al sito ufficiale e quello della comunità italiana, individuate le cache più vicine a dove siete con il mashup di Google Maps o con il Geocache browser di Google Earth (bisogna iscriversi su geocaching.com per scaricarlo) e fatevi prendere dalla voglia di cercarle!

GC_Puglia

Non rimane che augurare buona caccia a tutti.. nel senso più pacifico possibile.

19 agosto, 2006 | di

La condivisione, ed il “web come piattaforma” sono due dei paradigmi del web2.0. Bikely è un’applicazione – che gira interamente sul web – che vi consente di condividere con chiunque i vostri percorsi in bicicletta preferiti.
E’ una delle centinaia di applicazioni di cartografia online basata sulle API di Google Maps, tramite la quale potrete tracciare (su Google Maps) un percorso ed inserire tutte le annotazioni che riterrete utili. Ogni percorso è esportabile in formato .gpx, può essere quindi caricato come traccia su un GPS e rendere felice il ciclista “tecnologico”.

bikely


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