22 luglio, 2010 | di

E’ ormai da qualche mese che ESRI, con ArcGIS.com è ufficialmente con la testa tra le nuvole. Giovanni Allegri ha già dato notizia di GISCloud in un precedente articolo, in effetti il primo servizio applicativo di GIS “evoluto” e abbastanza maturo totalmente utilizzabile via web.

I tempi, la tecnologia e il mercato per parlare di GIS in the cloud – come aveva teorizzato Vector One due anni fa – sono dunque ormai maturi, e la scelta di ESRI di lanciare la sua applicazione webGIS quasi assieme alla prossima release di ArcGIS 10 è quindi “dovuta”. Tanto più che la stessa ESRI ha stretto una partnership con Amazon Web Servicesgrazie alla quale è possibile “affittare” ArcGIS Server sulla piattaforma di cloud computing di Amazon.

A mio avviso però, ArcGIS.com va in totale controtendenza con le strategie alla base di progetti come appunto GISCloud o anche CloudMade e GeoCommons e in genere quelli basati su svariate soluzioni tecnologiche, volte a garantire l’interoperabilità tra i dati seguendo le specifiche dell’Open Geospatial Consortium.

Un GIS “in the cloud” dovrebbe essere “aperto” per definizione, almeno per quanto riguarda la possibilità per l’utente di utilizzare dati e servizi di mappa via web provenienti da svariate fonti. Certo, può non esserlo per la parte applicativa, come proprio GISCloud, mentre invece CloudMade offre risorse di sviluppo, e ancora GeoCommons offre servizi business ad-hoc. Bene, ArcGIS.com non lo è nè dal punto di vista dei dati utilizzabili, nè tanto meno applicativo (avevamo dubbi?), anzi è “ESRIcentrico” in una maniera oserei dire “ottusa”. Gli unici contenuti che è possibile caricare nel proprio account non sono, tanto per dire, nemmeno shapefile (sic!) ma formati proprietari ESRI come ad esempio Map Package e Layer Package, mentre tra i servizi di mappa via web si possono importare solo quelli erogati mediante ArcGIS Server… e non certo con formati OGC (WMS, WFS, ecc)!

Qui sotto potete “ammirare” una mappa che ho realizzato utilizzando esclusivamente dati erogati dalla Provincia di Trapani e dalla Regione Siciliana, ovviamente mediante ArcGIS Server. In realtà i dati della Provincia sono esposti in maniera un pò confusa, e lo si può notare consultando i singoli servizi nella relativa pagina di ArcGIS Server. In sostanza sono stati messi troppi layer assieme, spesso ripetendoli da servizio a servizio. Quelli della Regione invece sono organizzati con un singolo layer per ogni singolo servizio, e dunque meglio utilizzabili in ArcGIS.com. In realtà mettere più layer insieme in un solo servizio non è affatto sbagliato, anzi, a patto che lo si faccia seguendo il criterio di realizzare una “vista” o mappa, ovvero rendendo gli strati visivamente compatibili (trasparenze, ordine di sovrapposizione, ecc).


Visualizza mappa più grande

La mappa, incorporabile in pagine web mediante <iframe>, risulta estremamente scarna, con la possibilità di impostare solo la dimensione e metterci o meno un tool di zoom. L’obiettivo è quello di indurre l’utente a visualizzarla direttamente su ArcGIS.com cliccando sul link “Visualizza una mappa più grande”. E magari fargli aprire un account…

Insomma, il cloud GIS secondo ESRI è chiuso, sia dal punto di vista applicativo (e questo ci può pure stare) sia dell’interoperabilità con i dati. E di questo francamente non ne vedo proprio la necessità, visto che la sua posizione dominante – almeno nei segmenti business e pubblico – è sempre molto salda, e non sarebbe di certo stata intaccata dando la possibilità di utilizzare dati vettoriali come shapefile (non dico PostGIS) e importare servizi di mappa via web con standard OGC.

26 maggio, 2010 | di

Il sistema GIS Cloud (beta) comincia a far parlare di sé.

GIS Cloud – General from GIS Cloud on Vimeo.

Si tratta di un sistema di cloud computing dedicato a servizi webgis che, in linea col concetto di “software as a service” , permette di sfruttare risorse hardware a software distribuite per realizzare servizi GIS online.
Tra le numerose funzionalità, offre la possibilità di creare progetti online, di caricare, gestire, editare, esportare, ecc. dati raster e vector di tutti i principali formati noti. Oltre a diverse librerie proprietarie, GIS Cloud si appoggia anche a GDAL e OGR, a garanzia di un’alta interoperabilità.

I layer, una volta caricati e impostati,  possono essere pubblicati sia tramite il loro flash viewer, che coe servizi WMS/WFS, nonché di fungere da client di servizi OGC, offrendo così la possibilità di realizzare anche mashup e servizi a cascata. Non poteva mancare il supporto ai servizi Openstreetmap, Google Maps, e simili.

Sono presenti inoltre alcuni semplici strumenti di analisi GIS e statistica, come esempio delle ulteriori funzioni che saranno rese disponibili in futuro…

Insomma, un oggetto da tenere d’occhio. In attesa di ricevere il vostro Free Account (che offre tutte le funzionalità ma in un ambiente non dedicato, con risorse condivise tra tutti gli utenti gratuiti e quindi non garantite) vi invito a fare un giro tra i video della loro sua gallery.

1 giugno, 2009 | di

Parliamo spesso di dati e geodati su TANTO, specie negli ultimi tempi. Non abbiamo forse mai parlato di cloud computing:

In informatica, con il termine cloud computing si intende un insieme di tecnologie informatiche che permettono l’utilizzo di risorse (storage, CPU) distribuite.

Si tratta di qualcosa nota sicuramente ai più, e con cui abbiamo a che fare ogni giorno navigando per il web: guardando le mappe di google o le foto su Flickr, un filmato su YouTube o un documento su Scribd. Quando accediamo ad uno di questi servizi, e visualizziamo ad esempio un filmato, non accediamo ad un singolo file, archiviato su un solo hard disk, su un unico server. E’ quasi sempre esattemente il contrario, diverse copie del file, archiviate su numerosi hard disk residenti su molti server.
In realtà è tutto molto più raffinato e spesso non si tratta nemmeno di server “veri”, ma virtuali e distribuiti. E’ un’esigenza sempre più sentita con l’aumentare delle dimensioni dei dati ed il diffondersi di applicazioni “remote”, non installate sul nostro pc.

IBM, Amazon, Google, Microsoft e Yahoo sono tra i più grossi fornitori di servizi di cloud computing. Chi non segue questo mondo, troverà strano trovare Amazon in questo elenco: “Ma non vendono libri???”
Al contrario, chi lo fa, sa che Amazon offre da tempo questi servizi, e con grande qualità.

Quello che io non sapevo era che, oltre ad offrire servizi per realizzare applicazioni di cloud computing, avesse un catalogo di dati pubblici da utilizzare all’interno delle loro applicazioni, e che tra questi ci fosse l’intero catalogo dei dati TIGER degli Stati Uniti. 140 GB di geodati già pubblici (limiti amministrativi, strade, fiumi, costruzioni, etc.) in formato shapefile, che sono anche la base di OpenStreetMap negli USA, accessibili come un disco fisso virtuale, tramite un server virtuale. Tutto chiaro? Non credo, devo aggiungere qualche altro dettaglio.

Il servizio di Amazon per attivare questo disco virtuale di dati si chiama Elastic Block Store (EBS). EBS consente di creare volumi da 1 GB ad 1 TB che possono essere montati (a cui accedere) da un’instanza di un altro servizio fornito da Amazon: Amazon Elastic Compute Cloud (Amazon EC2). Se EBS è un disco virtuale, EC2 è un server virtuale (Linux, Windows e OpenSolaris).  In questo modo potrò sviluppare su un server di mia scelta e comodamente, la mia applicazione di webmapping. “Virtualmente” dal punto di vista dell’implementazione tecnologica, ma con molta sostanza nell’erogazione del servizio.

Il servizio non è gratuito, ma sono soldi ben spesi, specie per progetti di grosse dimensioni: risparmierete costi interni e fronteggerete con tranquillità inaspettati successi della vostra applicazione, ed il conseguente “carico” sui vostri server. Non è un servizio “per tutti”, e richiede più di una buona preparazione di base da sistemista.

Detto di questi due “difetti”, io sono rimasto molto colpito dalle opportunità che queste tecnologie e questa “mentalità” potrebbero dare ad esempio a chi sviluppa grosse (e non) applicazioni spaziali sul web. Il condizionale è legato essenzialmente ai geodati: in Italia non esistono ancora dati di dominio pubblico della stessa qualità e con la stessa copertura dei dati TIGER. Il male è che non esistano in generale; non è infatti  così importante che non ci siano dati italiani tra i dati pubblici disponibili su Amazon. Se ci fossero, basterebbe soltanto avere delle buone idee ed una buona preparazione, ma non ci sono ed in qualche modo abbiamo un po’ le ali tarpate. Mi fermo con la predica.

Chiudo segnalandovi due video che introducono al mondo del cloud computing:

via Institute for Analytic Journalism


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