15 settembre, 2014 | di

Questo post non avrebbe bisogno di un testo o di un commento. E’ in fondo una comunicazione di servizio.

Le cose avvengono grazie al tempo che spendiamo per queste, alla crescita personale, all’evoluzione del contesto, agli incontri fatti, alla qualità delle persone. E questo è un anno che non dimenticherò.

Ringrazio l’Ing. Salvatore Cirone (dirigente dell’”Area 2 Interdipartimentale Sistemi Informativi Geografici, Infrastruttura Dati Territoriali Regionali e Cartografia”) e l’Ing. Agostino Cirasa (funzionario presso gli stessi uffici) per il dialogo di queste settimane e per l’immediata disponibilità all’autorizzazione, e Simone Cortesi che mi ha insegnato a passare la cera.

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I servizi WMS da sfruttare per il ricalco, e i relativi metadati, dovrebbero essere quelle elencati qui: http://goo.gl/Hefwor

Qui invece la copia della lettera di autorizzazione. Tutto questo si innesta in un percorso iniziato proprio con OpenStreetMap qualche anno fa, e che sarà probabilmente soltanto una delle tappe previste in termini di apertura dei dati geografici da parte della Regione Siciliana.

3 settembre, 2014 | di

Sei anni fa scrissi un post, prima di partire per una settimana di piacere a Linosa; stavolta questo paradiso terrestre mi ha ispirato un post di ritorno.

Lo spunto di partenza di oggi è lo stesso di allora: creare per il mio smartphone una copia della cartografia digitale dell’isola, in modo che sia disponibile anche offline, visto che in loco la connettività è scarsa.
Sono passati sei anni, un’enormità dal punto di vista tecnologico, e le modalità per farlo sono adesso davvero tante. Anche per questa ragione non parlerò di soluzioni, ma darò spazio a quello che è un vero e proprio scoop giornalistico: l’isola di Linosa deve essere spostata!

Scopro questa cosa incredibile il 18 agosto, data del mio arrivo sul posto. Nelle prime ore noleggio uno scooter, sistemo i bagagli in casa e subito voglio fare il punto mappa. Perché l’alloggio è in una zona per me nuova, perché voglio scegliere dove fare il primo bagno, perché mi voglio fare un’idea della viabilità, ecc.
Accendo il ricevitore GPS del mio smartphone, aspetto che venga calcolata la mia posizione, faccio partire la mia app e mi rendo subito conto di essere stato spostato a est di diverse decine di metri. Perché “carta canta”, non ci sono dubbi, e se il mio smartphone mi fa vedere il pallino in una certa posizione, sarà il mio maledetto telefonino “roottato” che funziona male. Ho pensato anche che il problema fosse della mia cartografia, ma avevo generato di proposito due basi offline, da due fonti diverse (Bing Maps di Microsoft e OpenStreetMap, e su entrambe riscontravo lo stesso problema.
Riavvio il telefonino, salgo sulla moto per fare un primo giro, arrivo sul lungo mare, rifaccio il test precedente e non cambia nulla.

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Preso dalla sconforto decido di fare una passeggiata e registrare un tracciato GPS, in modo che di ritorno a Palermo possa fare con calma un po’ di verifiche e capire che strani dati produce il mio cellulare (si usa più questa parola?). A registrazione terminata, voglio essere sicuro che tutto sia stato archiviato correttamente, apro la mia app di tracking in una zona coperta da connessione web e scopro che tutto sembra tornare a funzionare. Ma c’è una differenza, la mappa di base stavolta è quella del Geoportale della Regione Siciliana: che siano le altre basi il problema?

Ho potuto verificare la cosa, alcuni giorni fa, al ritorno da Linosa. Avevo infatti bisogno di una connessione e di un personal computer.
Ho creato una vista cartografica (leaflet.js + Plugins by Pavel Shramov + Leaflet.Sync) in cui mettere a confronto i tre layer cartografici citati, sui quali ho sovrapposto la registrazione del mio percorso GPS, che ho usato un po’ come cartina al tornasole.

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Come si vede dallo screenshot di sopra, la traccia GPS (in blu) è correttamente posizionata sul base della Regione Siciliana, mentre è spostata di diverse decine di metri a est su Bing Maps. E lo stesso (vedi sotto) vale per OpenStreetMap.
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Non poteva essere diversamente perché i dati OpenStreetMap derivano (almeno per la gran parte) probabilmente da un tracciamento sulla base Bing. La Microsoft infatti ha concesso da tempo il ricalco sul proprio layer satellitare per l’arricchimento del database OSM, ma qui purtroppo è entrato in gioco la propagazione dell’errore: la base Bing è (qui a Linosa) “registrata” male, e qualsiasi prodotto derivato erediterà questo problema.

La vista cartografica dinamica interattiva con cui potrete testare la cosa in autonomia è accessibile qui: http://tanto.github.io/spostalinosa/
Ho inserito anche un pinpoint fisso a centro mappa, in modo da fare anche confronti a occhio tra un elemento individuato sulle due tavole.

Non ho idea di come sia possibile che i dati della multinazionale contengano questo errore, ma di certo “c’è da spostare Linosa”. A chi mi posso rivolgere per segnalare la cosa?
I dati OpenStreetMap saranno corretti in pochissimo tempo, per quelli di Bing temo ci vorrà più tempo: che grande cosa che è la “mappa liberamente modificabile dell’intero pianeta“!

Ho fatto leggere il post in bozza a questa redazione e a qualche altro amico. Sono usciti molti spunti “vicini” al bel post di Sergio, di cui un po’ questo è un figlio casuale, e anche uno dei mille “casi d’uso”.
Voglio concludere proprio con tre elementi che ho raccolto:

  • la mappa non è il territorio (me l’ha detto tempo fa Franco Farinelli e me l’ha ripetuto in questi giorni napo);
  • la cartografia della PA italiana è spesso di alto livello, è una grande risorsa e bisogna liberarla. Alla mia regione chiedo di lavorare sul passaggio ad una licenza che consenta pienamente il riuso dei dati, dalla attuale CC BY-SA 3.0 IT a una CC BY 4.0;
  • in ultimo l’invito a non credere acriticamente né ai nostri strumenti, né ai dati a cui accediamo tramite questi, ad alzare la testa dallo smartphone e camminare un po’ più con lo sguardo aperto e rivolto in tutte le direzioni (lo so, lo so, si vede che è un’autocritica :) ).

NdR: questo di Linosa non è un caso unico e isolato. Sembra che anche Matera sia da spostare.

1 settembre, 2014 | di

NdR: pensiamo che questo post di Sergio meriti una lettura “da divano”. Per questo è eccezionalmente disponibile anche in epub, mobi, pdf e azw3.

Quanto più feliceRovistando in soffitta ho messo le mani su un taccuino sgualcito, dai fogli ingialliti, contenente quelli che sembravano, ad una prima occhiata, appunti disordinati. Di solito si recuperano tracce di un passato, più o meno lontano. Immaginerete lo stupore, quando ho letto una data: 3 agosto 2054! Sarà vera? Uno scherzo della Follia? Chissà. Il testo non riporta alcun nome.

 

Del Principio d’Indeterminazione della Cartografia

Nel corso della prima decade del XXI secolo si è fatto strada un processo per la realizzazione di cartografie del tutto ignoto in precedenza. Questo trattatello, ripercorrendo la storia recente della scienza cartografica, vuole essere un ricordo del progresso generato da questa scoperta e un tributo alla tenacia di quanti hanno contribuito alla sua affermazione.

Com’è noto, il processo classico, stabilito per la riproduzione ridotta di una porzione di superficie terrestre, consta essenzialmente di tre fasi: l’esecuzione di un rilievo sistematico dell’area considerata, il collaudo della riproduzione ottenuta[1] e, infine, la pubblicazione dello strumento cartografico e la sua divulgazione a beneficio dei suoi utilizzatori. Questo processo, perfezionato e codificato nel tempo, ha raggiunto un livello di accuratezza della riproduzione del mondo reale rasente la perfezione[2] nella seconda metà del novecento, quando è stato introdotto l’uso delle tecnologie e dei media digitali.

Il caso dello sviluppo della scienza cartografica ha molti aspetti interessanti: la pratica ha, infatti, precorso la teoria, cioè prima è stato ideato il processo per riprodurre su mappa parti di territorio, quindi è stato sistematizzato il suo fondamento teorico[3], attraverso la formulazione dei principi di base di questa strana scienza.

I principi della cartografia, tre più un principio cui è ormai invalso riferirlo come principio “zero” della cartografia, sono stati introdotti all’inizio di questo secolo per regolare la produzione delle carte, il loro utilizzo e i loro limiti. Sono assiomi legittimati dall’esperienza, sui quali si fonda tutta la teoria che riguarda la produzione di mappe. Qui di seguito vengono riportati gli enunciati più comunemente adottati nei manuali.

Il cosiddetto principio “zero” postula che se due mappe hanno la stessa scala di una terza, allora esse medesime condividono la stessa scala. Questo, seppur ovvio, principio consente di definire la scala come grandezza in grado di indicare se due mappe descrivono lo stesso territorio: nella sostanza, stabilisce che per un territorio dato, due mappe confrontabili tra loro, hanno la stessa scala.

Il primo principio della cartografia, rappresenta la formulazione della legge di conservazione dei dati geografici: esso afferma che nell’ambito di un processo di riproduzione di un territorio isolato (cioè perimetrato) i geo-dati non sono né creati né distrutti, ma trasformati.

Del secondo principio della cartografia esistono molti enunciati. Quelli epistemologicamente più rilevanti sono i seguenti.

  • E’ impossibile realizzare una trasformazione di scala il cui unico risultato sia quello di trasferire informazione geografica da una mappa a scala più piccola (di minor dettaglio) a una a scala più grande (di maggior dettaglio) senza l’apporto di informazioni aggiuntive o esterne.
  • E’ impossibile realizzare una trasformazione di scala ciclica della rappresentazione di un territorio dato il cui unico risultato sia la rappresentazione di tutte le informazioni geografiche possedute dal territorio stesso.
  • E’ impossibile realizzare una mappa la cui rappresentazione del territorio considerato coincida con la totalità delle informazioni geografiche della realtà[4].

Infine, il terzo principio, afferma che la rappresentatività della realtà di una mappa a scala 1:1 è zero[5]. In tempi più recenti a questo principio è stata data una veste nuova, precisamente: “Non è possibile raggiungere la rappresentazione omnicomprensiva del territorio considerato tramite un numero finito di rilievi”.

Sebbene sia comune l’uso della dizione “principio”, quest’ultimo non è assunto vero a priori, ma può essere dimostrato a partire dai precedenti, in particolare dal secondo. Esula dagli scopi di questo trattatello la sua dimostrazione: basti, a questo riguardo, riflettere ad esempio sulle deduzioni ricavabili dal terzo enunciato del secondo principio. Invece, vale la pena evidenziare che il terzo principio anticipa caratteristiche della rappresentazione della realtà del territorio individuate a seguito dell’applicazione del processo scoperto agli inizi di questo secolo.

Tale nuovo processo, la cui definizione è stata resa possibile grazie a tecnologie innovative per la manipolazione dei dati geografici[6] e la loro diffusione attraverso la Rete, a vantaggio di un loro uso di massa, ha consentito di addentrarsi nella cosiddetta cartografia infinitamente dettagliata. Esso prevede una diversa sequenza delle tre fasi del processo classico, precisamente: rilievo pseudo-disordinato dell’area, anche attingendo da mappe prodotte mediante il processo classico (quando disponibili), immediata pubblicazione dei risultati e collaudo della riproduzione in continuo divenire.

La comparsa sulla scena della scienza cartografica di questo secondo processo per ottenere mappe ha acceso un confronto, talvolta anche aspro, tra i suoi sostenitori e coloro che hanno ritenuto di avere identificato in esso falle concettuali che –a loro giudizio- impediscono la corretta riproduzione della realtà del territorio, inficiando l’utilizzo delle mappe così ricavate.

La prima critica avanzata esamina la validità teorica di questo nuovo processo per due aspetti fondamentali. Il primo concerne la disomogeneità spaziale della precisione della rappresentazione, quindi della corrispondente affidabilità, del rilievo all’interno della mappa, che renderebbe inapplicabile il principio della conservazione dei geo-dati. Il secondo aspetto riguarda una certa confusione riscontrata nell’utilizzo di dati derivanti da mappe di scale differenti per comporne una risultante, approccio che è parso andare in conflitto con quanto stabilito dal secondo principio della cartografia.

Una critica ancor più radicale considera l’efficacia del trasferimento di contenuti informativi di carte già collaudate o autenticate, in mappe create tramite il nuovo processo. Si è sostenuto che tale operazione, anche quando rispettasse i principi fondamentali, è priva di significato, poiché rende disponibile una mappa già esistente[7], degradata in termini di affidabilità, perché sfornita di certificazione di avvenuto collaudo.

Quest’ultima valutazione è stata raccolta per difendere la validità del nuovo processo, ribaltandone le conclusioni. Infatti, secondo i sostenitori di questo secondo percorso, la sua scoperta si deve ai troppi vincoli che hanno limitato un’ampia fruizione degli strumenti cartografici prodotti tramite il primo processo. La mancanza di disponibilità di rappresentazioni del territorio ha quindi ispirato conoscenze del tutto nuove sulla scienza cartografica.

In primo luogo, la definizione e la sperimentazione di questo secondo processo, ha messo in risalto il ruolo di chi esegue i rilevamenti (da una mappa preesistente o dalla realtà). Nell’ambito del processo classico tale figura, circoscritta a un numero limitato di specialisti, ha un ruolo assoluto: si assume che questi, operando, riproducano sulla mappa la realtà, senza interferire con essa, cioè siano osservatori esterni all’universo cartografico. Di contro, lo sviluppo delle tecnologie digitali e la diffusione di massa del loro impiego hanno trasformato il contesto: hanno aumentato di diversi ordini di grandezza il numero di soggetti in grado di eseguire rilevamenti creando una nuova figura: il cittadino-cartografo. Lo studio di questo nuovo fenomeno ha evidenziato che in realtà chi esegue un rilevamento del territorio perturba la rilevazione, falsando la conoscenza della realtà. E’ stato altresì ricavato sperimentalmente che, dato il numero notevole dei soggetti coinvolti, le perturbazioni statisticamente si compensano a vicenda e l’affidabilità media ottenibile risulta dello stesso ordine di grandezza di quella conseguita attraverso l’applicazione del secondo processo, facendo così risaltare una complementarietà tra i due processi.

Del pari, approfondendo le caratteristiche di tale complementarietà sono state scoperte altre proprietà della cartografia. La modalità realizzativa adottata con il nuovo processo –così detta “per quanti di rilievo”- ha fatto emergere l’esistenza di limiti cartograficamente irremovibili[8] allorquando ci si spinge verso scale di rappresentazione sempre più grandi, come già il terzo principio della cartografia aveva fatto intuire. Un’altra proprietà individuata, legata alla precedente, riguarda il limite –anch’esso irriducibile- nella determinazione contemporanea di grandezze legate all’evoluzione del contenuto informativo della mappa nel tempo[9], quali la variazione dell’affidabilità della mappa e il tempo di esecuzione del rilievo.

Tale fenomeno, non rilevabile applicando il primo processo, è emerso con tutte le sue implicazioni scoprendo il secondo processo. Infatti, in questo contesto l’esecuzione di un quanto di rilievo e la sua fruibilità sono eventi che possono essere considerati coincidenti, ma la cui affidabilità è assicurata dai successivi controlli effettuati dalla comunità dei cittadini-cartografi, eventi di cui non può essere noto a priori il momento della sua attuazione. E’ stato però appurato sperimentalmente che, in virtù del numero elevato dei soggetti coinvolti, il tempo necessario per garantire l’affidabilità della mappa è ordini di grandezza inferiori a quelli relativi al processo classico, come verrà illustrato tra breve. Il risultato a cui si è pervenuti per comprendere e giustificare questa proprietà è la formulazione del così detto principio di indeterminazione della cartografia, il quale stabilisce che non è pensabile conoscere simultaneamente –senza indeterminazione nei valori- il tempo di aggiornamento di una mappa e la corrispondente variazione della sua affidabilità.

Occorre invece ricordare che nell’ambito del processo classico, la valutazione simultanea dell’affidabilità e dei tempi di aggiornamento è gestita tramite un espediente: si assume per convenzione che la realtà sia quella descritta dalla mappa, indipendentemente dal fattore tempo. Una mappa realizzata tramite il processo classico “ferma” la realtà nell’attimo in cui viene eseguito il rilievo, operazione che può avvenire anche in tempi assai contenuti (si pensi a quelli richiesti per una ripresa aerofotogrammetrica). Si può così stabilire una data precisa alla quale fare corrispondere la realtà descritta dalla mappa. Le operazioni di riproduzione sulla mappa del rilievo e successivo collaudo impegnano un tempo assai più lungo, che può essere dell’ordine di parecchi mesi, in alcuni casi superare anche l’anno. In generale, maggiore sarà l’affidabilità che si vorrà ottenere, più numerosi saranno i controlli e le verifiche richieste. Comunque, quando la mappa viene rilasciata e pubblicata, la realtà si sarà già modificata: l’escamotage adottato risolve inconfutabilmente la valutazione contemporanea delle due grandezze considerate.

Il principio d’indeterminazione della cartografia ha un’altra importante implicazione: esso permette di intervenire anche all’interno del ciclo di vita di una mappa classica e affrontare con successo la riduzione della sua inaffidabilità[10], senza dovere attendere l’attività di aggiornamento sistematico, in genere attuata quando ormai essa non è più altro che una raffigurazione del passato.

In definitiva, questo nuovo modo di procedere alla realizzazione della rappresentazione del territorio ha contribuito alla maggiore fruizione dei rilievi creati attraverso il processo classico, promuovendone una più ampia disponibilità, per cui ormai i due processi sono stati integrati e agiscono in modo complementare, consentendo un risultato de facto migliorativo della rappresentazione del territorio e dei suoi continui mutamenti.

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PS. Amici ai quali ho sottoposto questi appunti, forse trovandoli di un qualche interesse e utilità, mi hanno suggerito di tradurli in altre lingue, perché possano raggiungere una platea di lettori più vasta, non solo italiana. Questo invito mi ha lusingato e ci ho riflettuto assai.  Ho deciso, alla fine,  di soprassedere: mi risulta che fuori dai confini nazionali la comparsa dei cittadini-cartografi abbia avuto tutt’altra storia.  3 agosto 2054.



[1] Generalmente eseguito da un soggetto diverso da chi esegue il rilievo.

[2] Per quanto questo vocabolo possa essere applicato in seno alla cartografia.

[3] Sono riportate alcune definizioni basilari. Universo cartografico: è costituito dalla realtà del territorio e dalla sua riproduzione rimpicciolita (l’oggetto di studio). Realtà del territorio: è identificabile con tutti i dati che si riferiscono agli oggetti -naturali e di origine antropica- ivi presenti (cosiddetti geo-dati)  e con tutte le sorgenti di dati riferibili allo spazio geografico, rappresentabili sulla mappa. Mappa: una qualunque porzione dell’universo cartografico a cui ci si sta interessando come oggetto della riproduzione.

[4] Intuitivamente, si può assumere che il risultato ottenuto sarebbe illeggibile (effetto tabula nigra).

[5] E’ interessante ricordare che questo enunciato del terzo principio è stato oggetto di interessi letterari e di studi filosofici: si veda ad esempio J.L. Borges “La mappa dell’impero in scala 1:1”  e la dissertazione “Dell’impossibilità di costruire la carta dell’impero 1 a 1” di U. Eco.

[6] Peraltro utilizzate anche nell’ambito del processo classico.

[7] Indicata, in alcuni scritti, forse con eccessiva enfasi, con “tautomappa”.

[8] “Irremovibili”, poiché tali limiti non sono riducibili, nemmeno immaginando di avere a disposizione strumenti e sensi perfetti, ossia a prescindere da qualsiasi errore sperimentale comunque piccolo.

[9] Perciò dette anche grandezze coniugate.

[10] Per brevità, si tralascia di descrivere l’effetto, non di rado associato, di arricchimento informativo della mappa.

10 gennaio, 2014 | di

Logo di OpenStreetMap

Abbiamo deciso di pubblicare la traduzione di un recente articolo di Serge Wroclawski, “Why the World Needs OpenStreetMap“, perché ci sembra importante riconoscere e sottolineare il valore di OSM al di là della sua utilità pratica e della sua gratuità. Ci scusiamo per eventuali inesattezze, non siamo traduttori professionisti! :)

 

Perché abbiamo bisogno di OpenStreetMap

Ogni volta che parlo con qualcuno di OpenStreetMap, inevitabilmente mi viene chiesto “Perché non usi Google Maps?”. Da un punto di vista strettamente pratico si tratta di una domanda ragionevole, però la questione non riguarda solo l’utilità (di tale scelta), ma che tipo di società vogliamo. Ne ho parlato nel 2008 in una conferenza su OpenStreetMap che ho tenuto al primo convegno MappingDC. I concetti che riporto qui sono gli stessi, ma trattati in maniera più estesa.

Nell’800 le persone avevano il problema del tempo, non in termini di tempo a disposizione, ma di che ora fosse. Gli orologi esistevano già, ma ogni città aveva il suo “tempo locale”, che si sincronizzava sugli orologi della città, o più spesso, le campane delle chiese. L’orario delle ferrovie, e infine il Tempo Medio di Greenwhich, ha soppiantanto gli orari locali e oggi la maggior parte della gente considera il tempo come qualcosa di universale. Negli Stati Uniti questo è avvenuto inizialmente grazie all’adozione del tempo standard da parte delle Ferrovie e successivamente delle università e delle grandi imprese.

L’equivalente attuale del dilemma del tempo è la posizione geografica, e diversi soggetti stanno cercando di diventarne il riferimento assoluto. Google spende un miliardo di dollari l’anno per mantenere le proprie mappe, senza considerare il miliardo e mezzo speso per comprare Waze. Non è certo l’unica azienda che sta cercando di prendersi tutto lo spazio, visto che anche Nokia si è comprata Navtek e TomTom e Tele Atlas stanno cercando di fondersi (in realtà TomTom ha già acquisito TeleAtlas, N.d.T.). Tutte queste aziende vogliono diventare il riferimento assoluto di ciò che è posizionato sulla Terra. Questo perché ciò che ha una posizione geografica è diventato un grande business. Con i GPS in ogni auto, ed uno smartphone in ogni tasca il “mercato” di chi vuole dirti dove sei e dove devi andare è diventato feroce.

Con tutte queste aziende perché c’è bisogno di un progetto come OpenStreetMap? La risposta è semplice, perché in una società nessuna azienda dovrebbe avere il monopolio sui luoghi, così come nessuna azienda ha avuto il monopolio del tempo nell’800. I luoghi sono un bene comune, e dando ad una singola entità tutto questo potere gli viene dato non solo il potere di dirti la tua posizione, ma anche di poterla manipolare. Ci sono tre aspetti in questione: chi decide cosa deve essere visualizzato sulla mappa, chi decide dove ti trovi e dove dovresti andare, e la privacy personale.

Chi decide cosa debba essere visualizzato su una mappa di Google? Ovviamente la risposta è Google. Mi è capitato di affrontare la questione durante un incontro con un’amministrazione locale nel 2009: erano preoccupati all’idea di usare Google Maps sul loro sito web perché Google decide quali aziende/attività commerciali mostrare. Avevano ragione ad essere preoccupati dal momento che un’amministrazione pubblica deve rimanere imparziale, e delegando le proprie mappe ad un soggetto terzo si trovano a cederne anche il controllo. E’ inevitabile, se non lo stanno già facendo, che Google cerchi di monetizzare le ricerche geografiche, dando priorità a certi risultati rispetto ad altri. Ad esempio, sarà una coincidenza ma se provo a cercare “colazione” vicino a casa mia, il primo risultato è Ristoranti SUBWAY®. Google non è certo l’unico distributore di mappe, è solo un esempio. Il punto è che quando si usa un qualsiasi provider di mappe, gli viene dato il potere di decidere quali siano gli elementi a cui dare risalto, o quali non debbano essere proprio mostrati.

La seconda questione riguarda il posizionamento. Chi definisce cosa sia “vicino”, o se sia meglio andare in una certa direzione piuttosto che un’altra? Questo problema è stato argomento di un articolo dell’ ACLU (n.t.: Unione americana per le libertà civili) dove veniva discusso l’algoritmo utilizzato da un certo servizio di mappe, il quale nel calcolo di un percorso (in auto, in bici o a piedi) prendeva in considerazione la pericolosità o la sicurezza del contesto. C’è da chiedersi chi stabilisce se un luogo sia sicuro o meno, o se piuttosto la parole “sicuro” sia soltanto un termine in codice per riferirsi a qualcosa di più sinistro. Ad oggi, Flickr colleziona informazioni relative agli spazi geografici sulla base delle fotografie, che vengono esposte tramite un’API pubblica. Utilizzando queste informazioni possono suggerire tags per le nostre fotografie, ma i cluster geografici ottenuti dalle loro elaborazioni potrebbero essere usati per controllare e manipolare qualsiasi altra informazione, dai pattern del traffico ai prezzi degli immobili, perché quando un provider di mappe diventa sufficientemente grande, diventa una fonte di “verità”.

Infine, queste società sono incentivate a raccogliere informazioni su di noi con modalità che potrebbero non piacerci. Quando utilizziamo i loro servizi, sia Google che Apple acquisiscono informazioni sulla nostra posizione. Possono usare questi dati per migliorare l’accuratezza delle mappe, ma Google ha già annunciato che intende usarla per analizzare la correlazione tra le ricerche che facciamo e i luoghi dove ci dirigiamo. Con 500 milioni di telefoni Android si tratta di un enorme quantità di informazioni, ottenute a livello individuale, sulle abitudini della gente sia che stia facendo una passeggiata, che stia andando a lavoro, dal dottore o, magari, che stia partecipando ad una protesta. E’ evidente che non si possono ignorare le implicazioni sociale che comporta la disponibilità di così tanti dati in mano ad una singola azienda, indipendentemente da quanto si dichiari benevola. Aziende come Foursquare utilizzano il mezzo della “gamification” per coprire quello che di fatto è un’opera di acquisizione di dati, e anche Google è entrata nella partita della “gamification” con Ingress, un gioco che sovrappone un mondo virtuale a quello reale e porta gli utenti a raccogliere foto e informazioni stradali con l’obiettivo di combattere, o favorire, un’invasione aliena.


Visualizza mappa ingrandita

Ora che abbiamo identificato i problemi, possiamo esaminare come OpenStreetMap li risolva tutti. In termini di contenuti geografici, OpenStreetMap è sia neutrale che trasparente. OpenStreetMap è una sorta di wiki che chiunque al mondo può editare. Se un negozio manca da una mappa, può essere aggiunto dallo stesso esercente o magari da un cliente. Per quanto riguarda la visualizzazione cartografica, ogni persona o azienda può crearsi la mappa come vuole, tuttavia la principale mappa su OpenStreetMap.org utilizza software cartografico FLOSS (Free/Libre and Open Source Software) e un foglio di stile (per la vestizione cartografica, N.d.T.) disponibile con una licenza di pubblico dominio, da cui chiunque può partire per costruirsene uno proprio. In altre parole, chiunque ne abbia bisogno può crearsi la propria mappa basandosi sugli stessi dati.

Analogamente, mentre i router (i software per il calcolo dei percorsi ottimali, N.d.T.) più popolari di OpenStreetMap sono FLOSS, se un’azienda decidesse di usare un’altra tecnologia, un utente può sempre utilizzare il proprio software e potrebbe facilmente confrontare i risultati, ottenuti dagli stessi dati, per verificare eventuali anomalie.

Infine, un utente può scaricare liberamente tutti o parte dei dati di OpenStreetMap per utilizzarli offline. Questo significa che è possibile usare i dati di OpenStreetMap per navigare senza dover comunicare ad alcuno la propria posizione.

OpenStreetMap rispetta le comunità e rispetta le persone. Se non stai già contribuendo a OSM, valuta la possibilità di farlo. Se già contribuisci, grazie.

(Serge Wroclawski “Why the World Needs OpenStreetMap“, CC-BY-SA)

15 febbraio, 2012 | di

Ieri mattina ho avuto modo di partecipare alla conferenza stampa dell’assessore Angela Barbanente, che assieme alla dirigente del Servizio Assetto del Territorio regionale Francesca Pace, alla presidente Sabrina Sansonetti e al direttore Francesco Saponaro di Innovapuglia e alla responsabile del SIT regionale Tina Caroppo, hanno presentato l’ortofoto 2010 che la Regione Puglia ha acquisito in “riuso” dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA). In effetti la cessione non è avvenuta a titolo gratuito, l’assessore non ha specificato la somma pagata, pur assicurando si tratti di una cifra “simbolica”.

Riguardo il riuso dei dati tra Pubbliche Amministrazioni, purtroppo la normativa europea e nazionale (se parliamo di dati geografici la Direttiva INSPIRE e il suo D.Lgs. di recepimento) dà facoltà al soggetto detentore di cedere i dati dietro pagamento di un corrispettivo, che dovrebbe ricompensare i costi di produzione e aggiornamento del dato (per approfondimenti a riguardo vi rimando a quest’altro mio articolo).

Le caratteristiche dell’ortofoto AGEA 2010

Fino a poco tempo fa i dati di base della Regione Puglia erano costituiti unicamente dalle ortofoto CGR del 2005 e del 2006, da quest’ultima poi sono state derivate la CTR numerica in scala nominale 1:5.000, e la carta di uso del suolo (in realtà un dato di copertura del suolo), oltre a un DSM a 8 metri, tutti dati dei quali avevo parlato sempre su TANTO in questo articolo.

Questa ortofoto AGEA del 2010 costituisce dunque un importante aggiornamento della base imagery, caratterizzata da scala nominale 1:10.000 e risoluzione a 50 cm, con la differenza sostanziale però che mentre per gli enti locali pugliesi i singoli fotogrammi sono disponibili gratuitamente, per cittadini e imprese è fruibile solo ed esclusivamente mediante servizio WMS (i dettagli li trovate qui), e non è scaricabile liberamente come per i dataset che ho citato prima.

Il servizio WMS che eroga dati raster del SIT Puglia, mette a disposizione due strati relativi alla ortofoto AGEA 2010: uno relativo all’intera copertura regionale, l’altro solo per la fascia costiera (circa 1 km di ampiezza). Le differenze tra i due però sembrano sostanziali, pur essendo riferiti entrambi al 2010 le riprese non coincidono temporalmente, e la definizione del dato costiero è nettamente migliore di quello totale, probabilmente a causa del ricampionamento a seguito di compressione e mosaicatura dei fotogrammi originali nel formato ECW. Potete apprezzare il confronto tra le varie ortofoto nella mappa qui sotto.

Clicca qui per ammirare la mappa a pieno schermo realizzata con Leaflet…

Con licenza parlando…

Il problema del riuso dei dati pubblici è come sappiamo tutti uno dei grossi nodi da sciogliere. Logica vorrebbe che un dato pagato con le tasse dei cittadini, ritorni ad essi senza costi ulteriori, e che se ne possano fare anche usi commerciali, il minimo sindacale dunque sarebbe associarvi una licenza CC BY.

I dati geografici scaricabili dal SIT Puglia (ho scritto un articolo che li annovera in un compendio più ampio) sono sottoposti a due differenti disclaimer (primo e secondo) che ne vietano comunque la cessione a terzi e il riuso a fini commerciali. Insomma, un professionista del territorio (ingegnere, architetto, geologo) non potrebbe a questo punto usare i dati del SIT Puglia per il proprio lavoro. Una evidente contraddizione che ha necessità di essere risolta. In passato, le molte email scambiate con il servizio tecnico del SIT Puglia per ottenere chiarimenti sulla licenza d’uso non hanno portato a nulla.

L’occasione della conferenza stampa è stata dunque per me un’occasione imperdibile per capire direttamente, dall’assessore al ramo e dalla responsabile del SIT Puglia, come interpretare la questione.

Ho dapprima contestualizzato il mio intervento, sottolineando innanzitutto come l’hype sugli open data sia ormai altissimo nell’opinione pubblica italiana, e come molte Pubbliche Amministrazioni stiano abbracciandone la causa, aprendo i propri dati, dando vita a portali dai quali poterli fruire – non ultimo il Governo italiano - e concorsi di idee per il loro sfruttamento, come Apps4Italy. E naturalmente ho ricordato l’esistenza della proposta di legge regionale su open software e open data, che si spera verrà presto portata in consiglio. I nostri interlocutori hanno mostrato di essere ben consapevoli di tutto ciò.

Ho poi domandato con chiarezza se i dati presenti sul SIT Puglia siano (ri)utilizzabili anche a scopi commerciali, ad esempio se un professionista del territorio può impiegarli nelle relazioni tecniche che redige abitualmente per il proprio lavoro. E la risposta è stata più che affermativa. Infatti la Regione, ad esempio nelle procedure per la redazione dei PUG comunali, spinge fortemente affinché i tecnici usino proprio i dati del SIT Puglia. Mi sono sentito a quel punto di rilanciare, chiedendo se i dati regionali possano essere utilizzati da soggetti terzi anche a scopi commerciali, ad esempio realizzando servizi e applicativi destinati a cittadini e imprese. Tante volte abbiamo detto che favorire l’apertura dei dati pubblici costituirebbe un formidabile volano per far ripartire l’economia nazionale. Anche qui ho ottenuto una risposta convintamente positiva.

Ricapitolando, la Regione Puglia è assolutamente convinta ad aprire i propri dati a tutti, rendendoli accessibili e riutilizzabili, ma abbiamo i disclaimer per i dati del SIT Puglia che di fatto ne impediscono l’uso a scopi commerciali. A questo punto va fatta chiarezza una volta per tutte, la Regione dovrebbe adottare una licenza che consenta davvero il riuso, ovvero almeno CC BY.

…nell’attesa che presto anche in Puglia nasca il portale dati.puglia.it

 

Un grazie speciale a Andrea Borruso, che mi ha indotto a sporcarmi le mani con Leaflet, una strepitosa libreria JS – che ho usato per questo articolo – alla portata di (quasi) tutti per realizzare mappe su web esteticamente belle, molto performanti ed estremamente flessibili.


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