3 maggio, 2011 | di in » Didattica

A fine 2009, nel mio ormai “tradizionale” post augurale di fine anno, scrissi queste parole a proposito del progetto “Map Kibera“:

Senza la conoscenza di base della geografia di Kibera, sarebbe stato impossibile aprire una discussione su come migliorare il quotidiano dei residenti. I dati su un’entità e l’accesso a questi, ancora una volta consentono di creare un valore aggiunto, e di rendere visibile l’invisibile.

Nel rileggermi riconosco e ricordo l’emozione che mi portò a scrivere queste parole, ed oggi – con l’uscita del IV episodio di Geospatial Revolution Project - ho rinnovato con forza quelle belle sensazioni.

Il IV episodio di GRP – ultimo della serie – è diviso (come i precedenti) in capitoli.

Nel primo - “Monitoring a Changing Climate” – viene illustrata l’importanza di misurare i fenomeni che coinvolgono il nostro pianeta e la nostra vita. Eventi apparentemente lontani da molti di noi (cittadini metropolitani) come l’assottigliamento dei ghiacciai o la deforestazione. Tra gli strumenti di misura (hardware, software e di conoscenza), ci sono certamente quelli messi a disposizione dalla rivoluzione geospaziale.

Nel secondo - ”Preventing Hunger” - si  mostra l’importanza che le tecnologie per la gestione e l’analisi delle informazioni geografiche hanno nel pianificare gli interventi di aiuto alimentare. Di come qualcosa di impalpabile come un’analisi NDVI, possa trasformarsi in aiuto concreto da portare in luogo mai visitato, e conosciuto grazie (anche) a tradizionali tecniche di remote sensing.

Il quarto – “Tracking Desease” – ci fa conoscere il fantastico John Snow, che nel 1854 studiò un’epidemia di Colera avvenuta a Londra, utilizzando l’analisi spaziale. Posizionando su una mappa la diffusione dei casi della malattia, constatò che si concentravano attorno ad una pompa dell’acqua nel distretto di Soho; dei raggruppamenti di eventi correlati temporalmente e spazialmente (dei cluster). Queste evidenze lo portarono ad individuare la causa dell’epidemia.

Il capitolo conclusivo – “Mapping Power to the People” – è quello che mi fatto tornare alla fine del 2009, e che mi ha dato l’ispirazione per il titolo del post. Douglas Namale, un uomo di Kibera, al minuto 15 dice una cosa bellissima: “la prima volta che ho visto la mappa [n.d.r. quella realizzata per il progetto], ero orgoglioso. Non è stata fatta da altri, ma da me“. Il lavoro suo e di tutte le persone coinvolte nel progetto, ha fatto in modo che in questo luogo lontano (non solo geograficamente) potessero sorgere delle strutture sanitarie e delle stazioni di polizia. Questo è veramente rivoluzionario.

Buona visione

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