23 novembre, 2010 | di

Oggi ricade il trentennale del terremoto del 23 novembre 1980, noto anche come il “terremoto dell’Irpinia” , i cui effetti devastanti colpirono una vasta area dell’Italia meridionale, posta a cavallo delle province di Avellino, Salerno e Potenza, mietendo quasi 3000 vittime. Orologio del Palazzo del GovernoTra le immagini indelebili ancora scolpite nella mia memoria di potentino vi è quella dell’orologio del Palazzo del Governo a Piazza Mario Pagano che si è fermato alle 19:34, l’ora esatta in cui la terra ha cominciato a tremare per 90 interminabili secondi. Quel quadrante rotto rappresenta l’emblema di una profonda ferita che ancora oggi non si è rimarginata del tutto.

Trenta anni fa non esisteva ancora il Sistema Nazionale di Protezione Civile, così come lo conosciamo oggi, e si nominò un Commissario Straordinario allo scopo di fronteggiare l’emergenza e coordinare i soccorsi delle popolazioni interessate dal terremoto, che entrò in servizio solamente 24 ore dopo la catastrofe. Gli eventi sismici molto recenti verificatisi in Abruzzo (aprile 2009) e ad Haiti (gennaio 2010), così come altre calamità naturali, dimostrano come la celerità degli interventi durante le prime ore di soccorso sia fondamentale nel salvataggio di vite umane. Una risposta tempestiva e efficiente della Protezione Civile può fare la differenza, ma tutto ciò non può e non deve bastare.

“L’Italia è un paese di santi, poeti, navigatori…” e purtroppo anche di terremoti. Basti pensare che nell’arco di un mese si verificano generalmente diverse centinaia di eventi sismici che interessano la quasi totalità del nostro Paese (si salvano la Sardegna e la penisola salentina), dei quali fortunatamente la maggior parte è percepita solo a livello strumentale e non dalla popolazione. Dobbiamo pertanto saperci convivere proprio come avviene in altri paesi evoluti, come il Giappone o la California, senza farci cogliere del tutto impreparati, come avveniva in passato.

La comunità scientifica internazionale allo stato attuale non ha ancora individuato un modello attendibile di predizione dei terremoti, pur essendo attivi promettenti filoni di ricerca basati sullo studio dei precursori sismici, anche mediante l’impiego di immagini telerilevate. Premesso ciò, il migliore approccio possibile da seguire consiste nella mitigazione del rischio sismico attraverso la corretta applicazione delle norme sulle costruzioni e l’adozione di criteri costruttivi tali da scongiurare il pericolo di crollo degli edifici, tenendo conto della mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale – una delle più avanzate in Europa – e recependo gli studi di microzonazione sismica all’interno degli strumenti urbanistici comunali, in modo da disincentivare il più possibile l’edificazione nei siti potenzialmente oggetto di fenomeni di amplificazione locale. L’insieme di questi strumenti di rilevante importanza preventiva può essere inoltre utilizzato per trasmettere alla popolazione le nozioni di base del rischio sismico, ovvero una maggiore consapevolezza del fenomeno in modo da poterlo affrontare correttamente.

Diffondere informazioni scientifiche aggiornate e tali da consentire una conoscenza approfondita del territorio è il miglior strumento per avviare strategie di prevenzione e riduzione dei rischi naturali.

E quale occasione migliore per apprendere questi concetti, se non in tenera età? Assolutamente in questa direzione vanno alcune iniziative dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) finanziate dal Dipartimento nazionale della Protezione Civile. Mi riferisco in particolare al progetto EDURISK, nato circa una ventina di anni fa ad opera di un gruppo di ricercatori del GNDT (Gruppo Nazionale per la Difesa dei Terremoti, confluito nel 2001 nell’INGV), che coinvolge esperti nel settore dello studio e della riduzione dei rischi naturali, dei vari settori disciplinari attinenti (geologia, sismologia, pericolosità sismica, EDURISKingegneria sismica, sismologia storica, psicologia dell’emergenza), uno staff di progettazione educativa proveniente dall’editoria scolastica e multimediale, autori di libri per ragazzi, disegnatori, illustratori, fumettisti ed esperti di didattica. L’obiettivo principale del progetto EDURISK consiste nel mettere in campo i ricercatori, la scuola e tutti i cittadini, coinvolgendoli in un progetto di formazione e scoperta del rischio sismico. In particolare, il frutto di tale iniziativa consiste nella pubblicazione di libri, opuscoli e dvd a supporto del progetto formativo di diffusione delle conoscenze sul rischio sismico e vulcanico (materiale didattico). Il progetto è, inoltre, presente nei principali social network (Facebook, Twitter, Anobii e YouTube). Per ulteriori dettagli, si rimanda direttamente al portale del progetto. Di recente, EDURISK ha prodotto la docufiction “Non chiamarmi Terremoto”, che affronta temi quali la prevenzione, il rispetto per le norme sismiche e i comportamenti corretti da tenere in emergenza. Nel seguito, è possibile visionarne l’anteprima e questo è il sito dell’iniziativa.

Immagine anteprima YouTube

D’altro canto, anche lo stesso INGV è presente su Twitter e YouTube. Nel primo caso si tratta di un servizio sperimentale di informazione sui terremoti in Italia (e non solo), mentre il canale su YouTube, molto interessante, prevede periodicamente degli aggiornamenti e la descrizione dell’attività sismica in corso, anche per spiegare alcuni aspetti della ricerca che viene svolta dai ricercatori dell’INGV.

Recentemente, qui su TANTO si scongiurava l’eventualità che il prof. Boschi, presidente dell’INGV, adottasse politiche restrittive sul rilascio dei dati di competenza dell’Istituto. E’ auspicabile, inoltre, che si continui nella direzione già abbondantemente tracciata nella diffusione capillare delle informazioni. Solo così si potrà contribuire efficacemente al raggiungimento di una sempre maggiore consapevolezza e conoscenza del fenomeno terremoto da parte dei ricercatori, dei tecnici e della popolazione.

6 settembre, 2010 | di

La notizia è di quelle che corre il rischio di passare inosservata:

Terremoti, l’Ingv: «Stiamo pensando di smettere di informare sulle scosse»
Il presidente Boschi: «I nostri dati utilizzati per arrivare a conclusioni che non stanno né in cielo né in terra»
MILANO – L’Ingv sta meditando di smettere di rendere pubblici i dati sui terremoti per evitare che siano travisati. Lo afferma Enzo Boschi, presidente dell’istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, commentando il messaggio di Guido Bertolaso al congresso della Società geologica italiana.
Corriere.it del 06 settembre 2010

Ed ancora:

Terremoti, interviene Boschi: “Valutiamo stop alle notizie”
Il direttore dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia pensa a oscurare il sito e tutti i dati relativi agli eventi sismici in Italia. “Vengono usati per arrivare a conclusioni che non stanno né in cielo né in terra”. Bertolaso aveva parlato di “profeti di sventura”.
ROMA – Niente dati sulle sequenze sismiche a disposizione di tutti sul web, anche quelle inavvertite dalla popolazione. Niente cartine geologiche, storico di eventi 1, niente di niente. Stop alle informazioni.
Repubblica.it del 06 settembre 2010

La notizia in sé pone due ordini di problematiche:

  1. Il Presidente dell’INGV può decidere autonomamente di precludere l’accesso pubblico ai dati raccolti dall’Istituto?
  2. Precludere l’accesso pubblico a tali dati corrisponde ad una scelta sensata?

Iniziamo dalla prima delicata questione.

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia è stato istituito con il decreto legge n.381 del 29/09/99.
L’art. 2 del detto decreto legge recita:

Art. 2. – Attivita’ dell’INGV
1. L’INGV:
[...]
f) rende disponibili per tutta la comunita’ scientifica i dati raccolti dalle proprie reti di monitoraggio, nazionale e locali.
[...]

Possiamo dire che rientra nella funzione dell’INGV la ricerca, il monitoraggio ma anche la diffusione delle notizie e degli allertamenti sui fenomeni sismici nazionali.
In tal senso sembrerebbe che non sia nella piena e libera disponibilità del Presidente dell’INGV prendere una scelta di tal genere, ovvero quella di oscurare sic ed simpliciter il sito informativo e, quindi, di non rendere pienamente pubblici i dati raccolti.

Eppure una certa lettura del citato articolo (disponibili per tutta la comunita’ scientifica) unitamente al combinato disposto con il DECRETO LEGISLATIVO 24 gennaio 2006, n. 36 (attuativo della direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico), porterebbe a conclusioni diametralmente e drammaticamente opposte.
In sé la Direttiva Europea aveva lo scopo di liberalizzare l’accesso alle molteplici informazioni prodotte e detenute dalle Pubbliche Amministrazioni (dai dati di tipo economico a quelli scientifici, da quelli geografici ai dati turistici).
Tali informazioni, infatti, sono considerate come un’importante materia prima da utilizzare per i servizi e prodotti a contenuto digitale, tali da poter essere riutilizzati al fine di contribuire alla crescita economica e scientifica ed anche alla creazione di posti di lavoro. “La Direttiva invitava gli Stati membri a favorirne il riuso, incoraggiando gli enti pubblici a rendere disponibili i documenti e le informazioni in proprio possesso, a condizioni eque e trasparenti, a tutti i soggetti interessati al loro riutilizzo“.
Non possiamo dire che il D.L. abbia pienamente incarnato lo spirito della direttiva, anzi…

Se in Italia  è vero che vige la legge 241 del 1990 sul procedimento amministrativo, è altresì vero che tale legge assegna il diritto di accesso ai documenti amministrativi solo ed esclusivamente a chi ha una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento richiesto.  D’altro canto il Codice dell’amministrazione digitale del 2005 ha obbligato la pubblica amministrazione e rendere disponibili i dati in suo possesso in formato digitale, ma non ha inserito alcun obbligo alla trasparenza.

Eppure ancora oggi in Italia ci si scontra con logiche che non esiteremo a definire aberranti.

Resta quindi da chiarire quale sia realmente il dato pubblico cui tutti hanno diritto di accesso e la cui pubblicazione non può essere arbitrariamente inibita (come i dati sull’inquinamento atmosferico o marino, i dati dell’amministrazione pubblica, i dati sulla sanità, l’anagrafe pubblica degli eletti, etc.) e quali siano, d’altro canto, i meccanismi per tutelare il libero accesso a tali dati.

Qualcosa in Italia si sta muovendo, ad esempio lo statuto della Regione Toscana all’articolo 54 prevede “tutti hanno diritto di accedere senza obbligo di motivazione ai documenti amministrativi, nel rispetto degli interessi costituzionalmente tutelati e nei modi previsti dalla legge”. Il Codice dell’Amministrazione Digitale a partire dal 2005, all’art. 50, ha introdotto un importante principio di disponibilità del dati pubblici disponendo che gli stessi devono essere formati, conservati, resi accessibili e disponibili con l’uso delle ICT.

Quid iuris nel caso di specie?

Il ragionamento che ci sentiamo di sostenere è, sinteticamente, il seguente:

  • L’attività dall l’INGV è una attività di rilevanza pubblica, finanziata con denaro pubblico;
  • I dati che raccogli l’INGV hanno una rilevanza scientifica e sociale;
  • I dati raccolti dall’Ente, pertanto, devono essere resi pubblici ed in formato aperto;
  • L’INGV non può arbitrariamente smettere di fornire tali dati, se non attraverso procedure ben definite in accordo con gli altri enti istituzionali competenti (Protezione Civile e Ministeri competenti).

Alcune considerazioni vanno fatte poi a sostegno della libertà di informazione. Asserire che per evitare strumentalizzazioni sia opportuno censurare alla fonte i dati ricorda una ben nota vicenda sulla “necessità” di impedire che le intercettazioni telefoniche possano essere “usate male”. Se una informazione o un dato sono legittimamente resi disponibili al pubblico – e qui stiamo parlando di dati di fondamentale importanza per la pubblica incolumità – è questo stesso che, se li utilizza per sostenere delle tesi, per supportare notizie originali, o finanche per realizzare applicazioni – come abbiamo fatto proprio con i dati INGV noi di TANTO – se ne assume la piena e totale responsabilità.

Attenzione, un conto è la manipolazione del dato, ben altro il suo utilizzo così com’è nell’ambito di contesti anche originali, quali articoli, notizie, applicazioni. Manipolare un dato sui terremoti vuol dire aumentare o diminuire la magnitudo di un sisma, la sua localizzazione, il suo tempo di occorrenza, e chiunque lo facesse sarebbe certamente un criminale. Ma se il prof. Boschi per timore di strumentalizzazioni (magari facendo degli esempi ci aiuterebbe a capire) pensa di risolvere il problema oscurando tutto, contraddirebbe la missione stessa dell’INGV, che è quella di diffondere informazioni fondamentali per la pubblica incolumità.

Sarebbe sufficiente applicare ai dati sui terremoti una licenza “share alike ” con divieto di modifica ma libertà di utilizzo degli stessi. Poi, se il giornalista dice che in località tal dei tali si sta verificando uno sciame sismico con parecchi eventi di magnitudo tra 2. e 3.0 allora bisognerebbe chiedergli se sta tentando di fare solo la Cassandra o magari sensibilizzazione verso la cittadinanza, sulla quale bisognerebbe davvero concentrarsi senza inutili allarmismi, ma proprio favorendo approfondimenti critici e ponderati su quelle informazioni e dati che invece si vorrebbero “oscurare”.

In un’Italia che (finalmente) apre sempre più i dati, qualcuno pensa di chiuderli perché male utilizzati. Temere in generale l’informazione vuol dire darla vinta a quella superficiale, strillata. Il fatto stesso che le notizie sui terremoti siano aumentate negli ultimi anni (date un’occhiata al trend su Google, soprattutto dopo aprile 2009 ovviamente) non deve essere preso come motivo di cattiva informazione di per sé. Anzi, è un evento che va capitalizzato, perché finalmente la pubblica opinione si è svegliata sul rischio sismico, va solo “educata” ad essere più critica.

Enzo vs. Tim


Se ne parla anche qui:

  1. “Bertolaso, Boschi e l’assurdo terremoto dell’informazione – Luca De Biase,” http://blog.debiase.com/2010/09/bertolaso-boschi-e-lassurdo-te.html.
  2. “Liberiamo i dati … anzi no: ce li riprendiamo | Diritto 2.0 – Il blog di Ernesto Belisario,” http://blog.ernestobelisario.eu/2010/09/06/liberiamo-i-dati-anzi-no-ce-li-riprendiamo/.
della direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo di

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