Il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione ha emanato pochi giorni fa le Linee guida per i siti web delle pubbliche amministrazioni. Nel comunicato stampa ufficiale - in fondo al quale troviamo i link ai vari documenti – si afferma:
Il loro obiettivo è quello di suggerire criteri e strumenti utili alla razionalizzazione dei contenuti online, riducendo al tempo stesso il numero dei siti web pubblici ormai obsoleti. Tra gli obiettivi di una PA di qualità vi è infatti anche l’esigenza di fornire tramite web informazioni corrette, puntuali e sempre aggiornate nonché di erogare servizi sempre più fruibili a cittadini e imprese.
La cosa interessante è che si parla anche di dati aperti. Mi piace citare testualmente la quinta sezione, dedicata a “Criteri di indirizzo e strumenti per il trattamento dei dati, della documentazione pubblica e per la loro reperibilità”:
I dati e i contenuti prodotti e gestiti dalla pubblica amministrazione nell’esercizio delle proprie attività, rappresentano una risorsa strategica da un punto di vista sociale, politico, economico e culturale. Si tratta di un enorme patrimonio di conoscenza, che non sempre è facilmente accessibile da parte degli utenti. L’adeguata diffusione di queste informazioni (dati statistici e territoriali, rapporti socio-economici e ambientali, normativa, ecc.) può rappresentare un importante elemento per favorire la crescita economica e produttiva, la ricerca, l’innovazione, la competitività e per incoraggiare la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, dando loro la possibilità di valutare l’efficacia dell’attività dell’ente, nel rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità.
Ma vediamo cosa c’è di concreto in queste linee guida.
Classificazione e semantica (Cap. 5.1)
Richiamando il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), che delinea il principio di generale disponibilità in rete dei dati pubblici mediante la “possibilità di accedere ai dati senza restrizioni non riconducibili a esplicite norme di legge”, le linee guida definiscono le modalità attraverso le quali devono essere garantite reperibilità, interoperabilità e semplicità di consultazione dei dati stessi. Si parla di semantica!
I sistemi di classificazione utilizzati per le risorse dei siti web della pubblica amministrazione devono consentire l’interoperabilità semantica, ovvero la possibilità di individuare in modo omogeneo gli attributi che caratterizzano una risorsa (metadati) e i valori che gli attributi possono assumere (vocabolari) quando si descrivono i contenuti.
E si fa esplicito riferimento al Dublin Core per quanto riguarda i metadati, si sottolinea la necessità di utilizzare “vocabolari” condivisi tra le PA per favorire l’integrazione delle loro risorse, facilitare e rendere più efficace la ricerca dei dati nei repository pubblici da parte dei cittadini. Repository che dovrebbero inoltre ispirarsi alla politica di accesso aperto ai documenti prodotti, secondo un modello simile a quello sviluppato in ambito accademico tramite il movimento Open Access. Si parla poi di classificazione semantica multidimensionale a faccette, un paradigma dell’architettura dell’informazione piuttosto interessante, che è possibile approfondire in questo interessante articolo di Trovabile, rivista online al cui feed RSS bisognerebbe assolutamente abbonarsi.
Formati aperti (Cap. 5.2)
Dopo una generica introduzione su “cos’è un formato aperto” e “perchè utilizzarlo”, il Ministero della PA si spinge a elencarne alcuni, che vi riporto qui sotto:
- HTML/XHTML per la pubblicazione di informazioni pubbliche su Internet;
- PDF con marcatura (secondo standard ISO/IEC 32000-1:2008);
- XML per la realizzazione di database di pubblico accesso ai dati;
- ODF e OOXML per documenti di testo;
- PNG per le immagini;
- OGG per i file audio;
- Theora per file video.
Certo non sono esaustivi, e alcuni anche un pò limitanti sotto certi versi, ma è bene farsi intendere chiaramente proprio dalle PA, e gli esempi come questi sono necessari.
Contenuti aperti (Cap. 5.3)
E si arriva alle licenze di distribuzione dei contenuti, che il Ministero raccomanda garantiscano il riuso delle informazioni per fini non commerciali. A tale riguardo si spinge decisamente verso le licenze Creative Commons, raccomandando più in generale:
- l’eventuale rilascio attraverso licenze l’uso che ne favoriscano la diffusione verso i cittadini e incoraggino il loro riutilizzo presso le imprese;
- l’utilizzo di Internet come canale di comunicazione primario, in quanto il più accessibile e meno oneroso, attraverso il quale diffondere i flussi informativi;
- la sicurezza dei dati;
- l’utilizzo di formati aperti, standardizzati e interoperabili.
L’avvento del cittadino “hacktivista”
Queste linee guida contribuiscono a creare i presupposti affinchè la strada verso i dati aperti, liberi, accessibili (e speriamo grezzi) detenuti dalle PA venga spianata. Ma la loro emanazione non comporta in sè un cambiamento immediato e automatico, non almeno qui in Italia. Purtroppo nel nostro Paese, per raggiungere obiettivi concreti spesso è necessario ricorrere a provvedimenti normativi che impongano scadenze e stabiliscano in dettaglio gli aspetti tecnici, anche se questo ha i suoi pro e i suoi contro, come ha recentemente dimostrato il recepimento della Direttiva INSPIRE da parte del nostro Governo.
Il processo di riforma delle modalità con le quali le PA organizzano e rendono disponibili ai cittadini le informazioni che li interessano, passa infatti anche attraverso il ripensare il ruolo del cittadino come attivo e con diritto al loro accesso, oltre che attraverso una ridefinizione e standardizzazione degli aspetti tecnologici. E’ chiaro che rendere disponibili i dati con formati e contenuti aperti non basta. Dal suo canto, è lo stesso cittadino che deve rendersi consapevole di cosa può fare con i dati, c’è dunque bisogno di un suo ruolo attivo. Stiamo parlando del cittadino hacktivista.
Il termine “hacktivismo” deriva dalla fusione dell’inglese “hack” con “attivismo”. A questa idea o movimento si ispirano tutti coloro che ritengono fondamentale poter accedere liberamente ai dati e alle informazioni, per poterli poi utilizzare in svariati ambiti, andando oltre la loro semplice e diretta diffusione “tal quale”. L’hacker viene spesso associato erroneamente alla pirateria informatica, e confuso con il “cracker“, figura questa per molti versi negativa.
L’hacker è una persona che si impegna nell’affrontare sfide intellettuali per aggirare o superare creativamente le limitazioni che gli vengono imposte, non limitatamente ai suoi ambiti d’interesse (che di solito comprendono l’informatica o l’ingegneria elettronica), ma in tutti gli aspetti della sua vita. (da Wikipedia)
Insomma, da un lato abbiamo la PA che lentamente va verso la liberazione dei dati. Dall’altro il cittadino che non sempre è consapevole di quanto accade, o comunque della portata di una rivoluzione del genere. In mezzo ci siamo noi, blogger, professionisti e appassionati di dati, a cui piace “smanettare” con essi e creare nuovi oggetti, nuove applicazioni, “cablando” il dato economico e sociale con quello geografico, per dare vita a nuovi atlanti che sappiano raccontare il nostro mondo in modi nuovi. E il nostro desiderio ultimo è quello che chiunque abbia un interesse e un minimo di voglia di mettersi in gioco e imparare, possa farlo con il minore sforzo possibile. Spesso qui su TANTO presentiamo esperimenti basati su strumenti – in genere web – che consentono l’elaborazione e la rappresentazione dei dati in maniera molto intuitiva, che non richiedono capacità da “programmatore”. In fondo l’unico limite è la fantasia, la capacità di immaginare cosa poter fare con dei dati aperti, liberi e grezzi.
Il percorso è lungo, ma molti hanno già cominciato a camminare, e sapere che anche il Ministero della Pubblica Amministrazione e l’Innovazione ha deciso di rivestire un ruolo trainante, non può che far sperare per il meglio.
I contenuti potrebbero non essere più adeguati ai tempi!
By Antonio Falciano on lug 29, 2010
Pietro, grazie per la tua brillante sintesi!
Quanto mi piace il preambolo della “quinta sezione”: a mio avviso, condensa perfettamente le enormi potenzialità derivanti da una corretta apertura dei dati prodotti dalla PA.
Poi una semplice osservazione: ma siamo proprio sicuri che “PDF con marcatura (secondo standard ISO/IEC 32000-1:2008)” sia effettivamente un formato aperto? Sinceramente non credo che gli hactivisti di tutto il mondo siano proprio contenti di lavorare con questo formato.
La parola d’ordine dovrebbe essere sempre quella: dati grezzi subito!
By Pietro Blu Giandonato on lug 29, 2010
Antonio, molte grazie.
La tua osservazione sul PDF con marcatura la condivido appieno, non a caso avevo fatto cenno a dei “limiti” ad alcuni standard indicati dalle linee guida.
E proprio su di essi (gli standard intendo) sarà necessario aprire una discussione/confronto affinché non vengano intraprese scelte sbagliate.
Mi ripeterò, ma devo ribadire a mò di esempio l’errore (rimediabilissimo con un decreto attuativo) fatto dal Governo italiano sul recepimento di INSPIRE: ora sui metadati ci possiamo fregiare di avere un “profilo” tutto nostro. Ma non proprio a standard
By Andrea Borruso on lug 29, 2010
Ciao Pietro,
a proposito di “dati grezzi” e della loro elaborazione, segnalo questo post del Guardian, basato sui dati sulla guerra Afghanistan pubblicati in questi giorni da Wikileaks :
http://bit.ly/d90dXW
A quando un giornale online italiano come il Guardian? Si aprirebbe anche un “nuovo” mercato professionale.
Sono pensieri ad alta voce, ma il post è molto bello.
By Pietro Blu Giandonato on lug 29, 2010
Andy, grazie.
Anche per la segnalazione dell’articolo sugli IED, quotidianamente alla “ribalta” della cronaca, non ultime le due vittime militari italiane.
Segnalo un altro ma(p)shup realizzato con GeoCommons sfruttando i medesimi dati: http://bit.ly/aJhDxe
I cortocircuiti mentali sono incredibili. Proprio ieri leggevo un’intervista ad Assange (http://bit.ly/cQD4if) e pensavo “chissà quanti dati ci saranno coi quali fare qualche bella mappa”.
Il momento dell’hacktivismo è maturo!
By Antonio Falciano on lug 29, 2010
Ragazzi, vi segnalo l’evento Data-driven journalism: http://datadrivenjournalism.net/
“Opening up content and data produced by public bodies will enable new forms of reportage as well as a new generation of services enabling the public to participate in the news making process.”
Chissà se ci sarà qualche speaker italiano?
By Pietro Blu Giandonato on lug 29, 2010
Si vede che ormai s’è creata l’onda lunga sull’utilizzo dei dati aperti e liberi, eh?
Molto molto bene, più se ne parla, più le PA dovranno farci i conti, e conviene anche a loro cavalcarla!
Sarebbe bello se partecipassero per l’Italia gli amici di in.fondo.al.mar (http://bit.ly/bBouiL). Quasi quasi gli busso…
By Giovanni Perego on lug 30, 2010
Grazie Pietro per l’ottima definizione: già mi sento anch’io cittadino hacktivista!
By Vittorio Paola on lug 30, 2010
Finalmente… ho già girato l’informazione ai massimi livelli istituzionali e chiesto un incontro per la definizione del nuovo geoportale della Regione Siciliana e per una nuova politica per la fruzione libera dei dati geocartografici… vi terrò informati
By Pietro Blu Giandonato on lug 30, 2010
Eh già Gimmi… ormai il processo s’è innescato, e non si fermerà
Vittorio, se tutte le Regioni cominciassero a capire che tenere i dati nel cassetto è ormai anacronistico, andrebbe a loro stesso vantaggio.
Le cose stanno cambiando…
Ad maiora!
By Pietro Blu Giandonato on ago 9, 2010
Svelo un “easter egg” presente nell’articolo, per coloro che non l’avessero scoperto.
Cliccando sulla prima immagine verrete trasportati sulla pagina della Linking Open Data dataset cloud. Si tratta di siti web e risorse online che Richard Cyganiak ha connesso in una infografica, e che costituiscono la costellazione di riferimento per i linked data e il web semantico.
Ed è dolce e affascinante perdervisi… assolutamente da tenere come riferimento presente e futuro.
By Pietro Blu Giandonato on ago 15, 2010
L’open government è un atteggiamento mentale. E’ questo che hanno pensato gli organizzatori dell’Open Government Employee Awareness Day http://oreil.ly/b2pjYl
Non è per fare della retorica esterofila, anzi. Trovo sia utile sottolineare come la diffusione dei dati aperti e liberi passi anche attraverso la maturazione della consapevolezza dei funzionari pubblici. E’ un lavoro che va svolto su più fronti.
By vincenzo on set 2, 2010
Ciao Pietro,
gran bell’articolo.
Mi sono ritrovato molto nella descrizione dell’hacktivism e quindi provo a lanciare un neologismo, che mi è stato suggerito da un collega, che potrebbe rappresentare il modo di essere ed operare di una certa comunità di geomatici: geoacktive comunity
By Giovanni Perego on set 2, 2010
Mah, perchè usare sempre la lingua inglese?
Secondo me ci sta bene anche geoattivista, con la relativa comunità geoattiva (radioattiva? )
By Pietro Blu Giandonato on set 2, 2010
Grazie dei complimenti Enzo. Si, la “geoHacktive community” sarebbe l’obiettivo naturale per chi, come noi, si occupa nello specifico di geodati.
Gimmi, hai ragione nell’auspicare l’uso di “italianismi”, ma non a caso ho usato l’H maiuscola, perché è in essa la potenza del termine “hacktivism”, ovvero l’atteggiamento “smanettone” (to hack) del cittadino comune, pronto a riusare i dati in maniera creat(t)iva.